La Sveglia

Il fedelissimo della Meloni all’internazionale degli ultra-conservatori

La conferenza dei conservatori Usa che il prossimo 4 maggio per la seconda volta consecutiva sbarcherà in Ungheria.

Il fedelissimo della Meloni all’internazionale degli ultra-conservatori

Si chiama Cpac, Conservative political action conference, la conferenza dei conservatori Usa che il prossimo 4 maggio per la seconda volta consecutiva sbarca in Ungheria da uno dei suoi riferimento europei, Viktor Orbán. Non è un caso, il Cpac è diventato uno dei luoghi prediletti da Donald Trump (a marzo è stato presentato come “il prossimo presidente Usa”) in cui ci si sbizzarrisce sulla teoria del Deep State e sul complottismo tipico della destra sovranista. Il viaggio in Ungheria è solo l’ennesimo segnale di un asse internazionale delle destre più radicali che da anni si organizza e si ingrossa.

La conferenza dei conservatori Usa il prossimo 4 maggio per la seconda volta consecutiva sbarcherà in Ungheria

A Budapest sarà possibile sfogliare il catalogo della destra radicale. Ci sarà ad esempio Herbert Kickl, leader della destra radicale austriaca (Fpö) che ha ingrossato le proprie file organizzando manifestazioni no vax. Come racconta Jacopo Di Miceli (autore del libro L’ideologia della paura, edito da People) Kickl aveva consigliato di curare il Covid con un antiparassitario per cavalli e molti finirono intossicati (esattamente come accadde negli Usa con Trump). Parlerà anche Eduardo Bolsonaro, che, come racconta l’account twitter Osservatorio sul complottismo è “figlio dell’ex presidente brasiliano Jair, rappresentante in America Latina di The Movement, l’organizzazione di Steve Bannon, e al centro dei rapporti fra estrema destra brasiliana e trumpiani”.

Altro? Di Miceli spiega che ci sarà pure il repubblicano Paul Gosar, “fra i parlamentari che si sono rifiutati di riconoscere la legittimità di Biden, sostenitore della teoria del complotto delle elezioni rubate. Afferma che l’assalto al Campidoglio sia stato una messinscena dell’Fbi. Promise l’amnistia agli insorti”. Di brogli elettorali (inesistenti) continuano a parlare anche Kari Lake, l’ex candidata repubblicana a governatrice dell’Arizona che chiedeva il carcere per Anthony Fauci accusandolo di avere nascosto la cura per il Covid e il presidente dei giovani repubblicani di New York, Gavin Vax, che nelle ultime elezioni Usa vide una “cospirazione internazionalista ed elitaria della sinistra radicale”.

Tra i partecipanti il consigliere culturale del premier Meloni Giubilei e il presidente del Centro Machiavelli

Tra gli invitati c’è, Ernst Roets, che, spiega Di Miceli, è “fra i leader di AfriForum, un’organizzazione afrikaner sudafricana che sostiene la versione locale della teoria del complotto della Grande Sostituzione, ovvero il genocidio dei bianchi per opera della popolazione nera”. Dalla Spagna arriva Jorge Buxadé, esponente di spicco di Vox (il partito che ospitò Giorgia Meloni poco prima delle elezioni), ammiratore del dittatore militare Primo de Rivera e ha criticato la costituzione democratica redatta dopo la caduta del franchismo. E gli italiani? In prima fila c’è Francesco Giubilei, consigliere culturale del governo Meloni e fenomeno televisivo.

Poi Guglielmo Picchi, ex parlamentare leghista e sottosegretario agli esteri, manager della finanza, che, spiega Di Miceli, è tra i fondatori del Centro Machiavelli, denunciò brogli elettorali contro Trump, avversato da “media, big tech, deep state, internazionale globalista”. Simone Billi è il parlamentare leghista che proponeva bonus a chi si sposa in chiesa. Daniele Scalea invece è il presidente del think tank di destra Centro Studi Machiavelli, schierato con i repubblicani americani “contro le tendenze dittatoriali e marxisteggianti del Partito Democratico”.

Altro che 25 aprile. La natura di certa destra, nonostante si sforzi di apparire illuminata, è quella che si annusa nei ritrovi lontani dall’Italia. Là dove vengono dismessi i panni simulati per apparire potabili e si può dare sfogo alla natura peggiore. Tanto possono sempre dire di essere stati “fraintesi”.