Il futuro incerto del Jobs Act. La bomba che mancava alla resa dei conti nel Pd: domenica c’è un’assemblea di fuoco

C’è solo una certezza nel Pd a poche ore dall’assemblea nazionale: il muro contro muro tra Renzi e la minoranza. E ora ci si divide anche sul Jobs Act

C’è solo una certezza nel Partito democratico a poche ore dall’assemblea nazionale: il muro contro muro tra i fedelissimi del segretario e la minoranza. Nonostante la delicatezza della fase politica, infatti, non c’è stato alcun vero momento di chiarimento: solo qualche punzecchiature nella direzione. In attesa dell’annuncio ufficiale della candidatura di Roberto Speranza, prevista per sabato mattina, i bersaniani sono stati estromessi da qualsiasi decisione. Una vita da separati in casa, che è destinata a durare a lungo. Almeno fino a quando ci sarà la conta interna, che si annuncia piuttosto cruenta. Anche perché, come se non bastassero le solite divisioni, nel dibattito è tornato con prepotenza il Jobs Act, pomo della discordia nelle correnti dem su cui Matteo Renzi non è disposto ad arretrare nemmeno di un millimetro. Così si è rifatto vivo pure l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani. “Altro che congelare i referendum sindacali. Il Pd affronti le questioni e il nuovo Governo cambi il Jobs act. Poletti ha fatto una dichiarazione insensata”, ha attaccato l’esponente della minoranza.

Incertezza – Renzi sta tenendo tutti sulla corda sulla data del congresso. Nel suo ultimo intervento aveva lasciato intendere di volerlo organizzare in tempi rapidi. Con lo scopo, non dichiarato, di fare a pezzi gli avversari interni. “Discuteremo di molte cose, in modo trasparente e chiaro, come deve fare chi ama la politica e crede nel servizio per il bene comune”, si è limitato a dire su Facebook l’ex premier. Così la minoranza arriverà all’appuntamento di domenica al buio: oltre all’ordine del giorno non c’è null’altro. Addirittura ha preso quota l’ipotesi di organizzare le primarie entro marzo per consolidare la leadership renziana e accelerare il ritorno alle urne, con liste senza bersaniani. Puntando al pieno controllo dei gruppi parlamentari: lo scenario peggiore per Speranza&Co.

Timori – In questo clima è scattata anche la corsa al posizionamento, avviata da Fabrizio Barca. Il dirigente dem ha messo nero su bianco il suo progetto di rinnovamento del partito. “Direzione di 15 membri, agenda comune pre-primarie, circoli palestra. La mia proposta all’attuale segretario Renzi e all’intero gruppo dirigente del Pd è semplice: proporre subito all’Assemblea nazionale questi tre cambiamenti”, ha scritto sull’Huffington Post. Ma il ragionamento è stato subito smontato da più settori del partito: qual è il ruolo della segreteria? L’organismo è nei fatti esistente solo sulla carta. Per evitare di essere schiacciati dai piani renziani, la minoranza è in fase di organizzazione. Intorno alla candidatura di Speranza si punta a creare una sorta di polo alternativo al segretario. Ma senza chiedere un passo indietro al governatore toscano, Enrico Rossi, in campo per la segreteria da mesi, con toni concilianti verso tutte le fazioni. I bersaniani infatti lo vedono come una valida sponda per sottrarre voti a Renzi soprattutto in Toscana, la roccaforte elettorale dell’ex presidente del Consiglio.