In una Gaza ridotta a campo di sterminio, anche le parole sembrano morire prima di arrivare. Le ultime ventiquattr’ore hanno visto altri 94 palestinesi uccisi, 45 dei quali mentre cercavano disperatamente cibo vicino ai punti di distribuzione. Le immagini raccolte dagli ospedali e dalle organizzazioni umanitarie sono le stesse da mesi: corpi di bambini, tende sventrate, pianti nel vuoto.
Eppure, proprio adesso, mentre l’orrore si misura in statistiche e resti umani, si torna a parlare di una tregua. Fonti di Hamas hanno fatto sapere che è arrivata una “risposta positiva” alla proposta di cessate il fuoco, mediata dagli Stati Uniti. L’accordo prevedrebbe il rilascio graduale degli ostaggi israeliani e lo smantellamento delle forze armate di Hamas nella Striscia, in cambio della sospensione delle operazioni militari e dell’ingresso controllato di aiuti. La leadership del movimento sarebbe pronta anche all’esilio. Trump, in piena campagna, assicura: “La gente di Gaza ha passato l’inferno, voglio che sia al sicuro”. Una dichiarazione che pesa quanto una carezza dopo il massacro.
Nel frattempo, l’ONU denuncia: oltre 600 civili sono stati uccisi negli ultimi trenta giorni nei pressi di convogli umanitari o centri di distribuzione. L’ultimo morto è un membro dello staff della Croce Rossa, colpito mentre aiutava a Rafah. Altri venti palestinesi sono caduti solo oggi mentre attendevano aiuti alimentari.
Un’intera popolazione spinta alla fame e bombardata mentre attende soccorso. E intanto l’IDF dichiara apertamente che il suo “obiettivo finale” è la liberazione degli ostaggi, anche se dovesse passare sopra i cadaveri di migliaia di innocenti.