Il governo si autoassolve sul caso Almasri

La relazione Pittalis difende Nordio, Piantedosi e Mantovano: «Agirono per sicurezza nazionale». Domani il voto in Aula

Il governo si autoassolve sul caso Almasri

Alla vigilia del voto in Aula, la maggioranza ha depositato la relazione che invita la Camera a negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, indagati dal Tribunale dei ministri di Roma per favoreggiamento e peculato nel caso di Najeem Osama Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 su mandato della Corte penale internazionale e rimpatriato due giorni dopo con un volo di Stato.
Il documento, firmato dal relatore Pietro Pittalis (Forza Italia), rovescia sia l’impostazione dei giudici, sia della prima relazione, redatta dal primo relatore Federico Gianassi (Pd) che chiedeva di autorizzare il processo per i ministri, sostenendo che i membri del governo abbiano agito «nell’interesse dello Stato» e per «preminenti interessi pubblici».

I rilievi contro il Tribunale dei ministri

La relazione parla di «gravi vizi procedurali» che renderebbero «tamquam non esset» la richiesta di autorizzazione a procedere. Secondo la maggioranza, il Tribunale avrebbe violato i termini di legge per la chiusura delle indagini — prolungate per oltre sette mesi —, negato il diritto di difesa di Mantovano e respinto la sua audizione.
Viene inoltre contestato al Tribunale di aver trattato come “dichiarazioni difensive” le informative rese in Parlamento dai ministri, trasformando un dovere istituzionale in una fonte d’accusa.

Scudare anche Bartolozzi

Nella ricostruzione di Pittalis, anche la posizione della capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, indagata per false informazioni, dimostrerebbe «un pregiudizio strutturale» da parte dei magistrati e una volontà di «spezzare artificiosamente l’unitarietà della vicenda». Per i magistrati Bartolozzi è indagata per un reato a sé stante, cioè staccato dall’attività di governo (avrebbe infatti dichiarato il falso agli inquirenti), e quindi non ricadrebbe sotto lo scudo della richiesta di autorizzazione al Parlamento. la vedeva così anche il primo relatore Gianassi. Per Pittalis, invece, il possibile reato di Bartolozzi sarebbe in “continuità” con l’azione di governo. E quindi “scudabile”.

Il percorso politico

La vicenda approda in Aula dopo un iter parlamentare tortuoso, segnato da settimane di scontro nella Giunta per le autorizzazioni, dove il centrodestra ha imposto il proprio orientamento con il voto contrario delle opposizioni.
Dal 30 settembre, quando la Giunta aveva già deliberato per il “no”, le opposizioni — Pd, M5S e Avs — hanno denunciato una «difesa di corporazione» e chiesto di audire i magistrati del Tribunale dei ministri, richieste poi accantonate. La maggioranza ha accelerato i tempi, fissando il voto per il 9 ottobre, a ridosso della presentazione del documento, e rinviando ogni approfondimento sulle relazioni tra governo e autorità libiche.

Le motivazioni politiche

Secondo la relazione, Nordio, Piantedosi e Mantovano avrebbero agito «per motivi di sicurezza nazionale», temendo rappresaglie della Rada Force, la milizia che controlla l’aeroporto di Mitiga e parte delle infrastrutture strategiche di Tripoli, comprese le aree vicine al gasdotto Mellitah Oil & Gas. La loro decisione di rimpatriare Almasri, si legge, avrebbe mirato a «disinnescare rischi concreti per cittadini e imprese italiane in Libia» e a proteggere «l’incolumità dei nostri connazionali».
Una linea che, per la maggioranza, giustificherebbe l’uso del volo di Stato malgrado l’esistenza del mandato della Corte penale internazionale. L’intervento del governo, sostiene il relatore, sarebbe stato «ispirato da fini pubblici e non privatistici».

Un voto dal peso politico

Il caso Almasri è divenuto un terreno di scontro istituzionale tra magistratura e governo. L’opposizione parla di “autoassoluzione preventiva”, mentre il ministro Nordio rivendica la correttezza delle scelte e accusa il Tribunale di «pregiudizio politico». Domani la Camera dovrà decidere se condividere questa tesi.
L’esito appare scontato, ma non il suo significato: la vicenda segna un precedente pesante nei rapporti tra potere esecutivo e giurisdizione, e mostra ancora una volta come il Parlamento, da sede di garanzia, possa ridursi a scudo.