Il Movimento è alle corde. Malgrado abbia fatto moltissimo. E’ vero che Grillo lo ha definito biodegradabile. Ma la missione non è compiuta: c’è ancora tanto da fare

Si avvicinano, per i Cinque Stelle, i cosiddetti Stati generali o Congresso o come lo si voglia chiamare e il clima si arroventa. Riunioni parlamentari ed extraparlamentari si affastellano in un concitato turbinio e spesso esitano in una sorta di sfogatoio in cui ognuno si lamenta di qualcosa. Ma così facendo il Movimento da cosa si distingue dagli altri partiti politici? Il Movimento è qualcosa di diverso, nasce strutturalmente diverso e la tentazione di abbandonare questa diversità potrebbe essere molto nociva al Movimento stesso perché la diversità è proprio quel quid che ha permesso l’exploit del 2018 in tutto il Paese.

Bisogna fare veramente molta attenzione a non perdere la bussola identitaria perché perderla vuol dire perdersi. Si pensi, ad esempio, al caso di Gianfranco Fini che abbandonò i valori della destra tradizionale per cercare una uscita “moderna” in una destra liberale ma non liberista, diciamo alla francese. Operazione che distrusse Alleanza Nazionale proprio perché si trattava di un partito profondamente identitario erede del Movimento Sociale Italiano. Ora, i Cinque Stelle, nascono come “non partito” dotato di un “non Statuto” proprio a designare una forma leggerissima e plastica, diremmo liquida come indicava il filosofo Zygmunt Bauman. E la “liquidità” deve restare la cifra del Movimento stesso che non può e non deve strutturarsi come un partito qualunque.

Grillo ha plasmato qualcosa di nuovo e di diverso, che è la sintesi di diverse componenti identitarie. Ad esempio la “democrazia diretta” che trova pieno compimento nella piattaforma Rousseau è una cifra assolutamente identitaria che deve essere conservata. La “parlamentarizzazione” del dibattito, che pur in una certa misura può esserci, diviene però nociva e controproducente quando si escludano gli iscritti, la grande novità dei Cinque Stelle. Abdicare al ruolo chiave di Rousseau vuol dire perdere l’identità e trasformarsi in un partito come tutti gli altri.

E poiché il grande successo del Movimento è stato proprio in questa assoluta diversità, vuol dire perdere consenso presso i propri elettori. I Cinque Stelle sono stati e sono un esperimento unico e visionario basato sulle intuizioni tecno-simboliche del compianto Gianroberto Casaleggio, intuizioni che hanno un profondo riflesso emotivo che entra in risonanza con l’inconscio stesso dei suoi elettori. E poi c’è il progetto visionario del cambiare il mondo. Detta così sembra la solita utopia, magari ottocentesca, ma in realtà l’idea di Casaleggio era proprio questa: cambiare radicalmente non solo l’Italia, ma il mondo, tramite la potenza della Rete, di Internet, del Web. Realizzare la democrazia diretta. Permettere a tutti ci contare e a nessuno di prevalere. Uno vale uno, questo era il motto ora un po’ in disuso.

Ed a questo occorre tornare. Come la forma – partito è entrata in crisi non è detto che la forma – movimento non debba andarci. Il Movimento, infatti, è solo un mezzo, non un fine. È il razzo vettore che porta il missile del cambiamento oltre i cieli, negli spazi siderei, ma una volta esaurito il suo compito anch’esso può e anzi deve essere abbandonato. Molte cose sono state realizzate del programma di cambiamento: reddito di cittadinanza e taglio dei parlamentari sono due esempi eclatanti. Restano altri obiettivi, il salario minimo, ad esempio, o una vera rivoluzione green.

Ma una volta raggiunti tutti gli obiettivi il Movimento può dissolversi, ha raggiunto il suo scopo. Ed allora viene meno la motivazione di tutte le proteste e le riunioni che alcuni indicono facendo pensare che del cambiamento mondiale porti in definitiva a loro poco quanto invece l’umanissimo attaccamento alla poltrona. Per carità, attaccamento inquadrabile ancora nelle categorie appunto dell’umano e come tali capibili, ma non assolutamente accettabili in quella che è la diversità ontologica dei Cinque Stelle. Perché produrre crepe nel monolito ideologico non può che portare alla sconfitta, interrompendo il grande flusso di cambiamento che invece può e deve ancora produrre il Movimento.