Alcuni lettori di questa Rubrica si chiedono e mi chiedono perché la “Comunicazione” è, nel suo insieme, così schierata a favore del “free-Internet” e sembra trascurare le ragioni dei cosiddetti “aventi diritto”, di chi cioè vuole tutelare anche sulla Rete le proprie idee, la propria creatività.
Questo è un tema difficile e, per molti aspetti, urticante ma non mi sottraggo ad esprimere la mia opinione peraltro maturata in anni di impegno accademico e di incarichi operativi e di impegno accademico nel settore. Ritengo che la questione presenti un aspetto, strutturale e concettuale ed uno contingente. Partiamo dai concetti o meglio, secondo il mio modo di vedere, dai pre-concetti, dai “bias” come si dice in psicologia cognitiva.
Con l’esplosione sociale, culturale e, soprattutto economica della Rete, le questioni riguardanti la proprietà intellettuale ( quindi brevetti, marchi e copyright/diritto d’autore) sono diventate centrali anche nel dibattito mediatico assumendo sin dall’inizio anche una chiara connotazione politica.
Si scontrano in maniera apodittica ( e appunto, pre-concetta) due diverse visioni del mondo e delle sue possibili evoluzioni. Così il diritto d’autore ( con i brevetti, i marchi, i disegni industriali) è da taluni indicato come una delle grandi leve di sviluppo per il nostro sistema economico e per la nostra società perché realizza la protezione e la tutela della creatività e quindi dello sviluppo delle idee, delle invenzioni, del pensiero originale ed innovativo. Da altri è inteso come un grande freno alla crescita di una società più moderna ed aperta; uno strumento per privatizzare ed “elitizzare” la cultura, porre limiti all’accesso dell’informazioneFr, perpetuando il vantaggio dei pochi a favore dei molti. I sostenitori di questa seconda visione tendono poi (non so quanto consapevolmente e quanto strumentalmente) a confondere le problematiche dell’accesso alla Rete ( che ovviamente deve essere sempre e comunque garantito) con quelle della tutela dei contenuti apparsi in Rete; all’evidenza delle problematiche completamente diverse.
Ebbene questa visione è quella che ha maggiormente trovato spazio sui media anche perché sostenuta da quell’entità sfuggente e un po’ esoterica che è il cosiddetto “popolo della Rete” (con la speranza che i “popolani” comprino anche i giornali, dappertutto in forte crisi di vendite e di contenuti). Blandire il “popolo della Rete” poi è anche il vezzo di varie componenti politiche alla ricerca di consensi nei nuovi spazi della modernità. Gli aspetti contingenti della questione fanno riferimento al fatto che gli Internet Service Providers – quindi in gran parte le aziende Telecom mondiali – sono sempre più coinvolte a tutela degli aventi diritto nei vari progetti di leggi nazionali. Questo è del tutto logico se si pensa che, in assenza di una norma sovranazionale di tutela dei contenuti, gli ordinamenti nazionali possono cercare di contrastare le violazioni di siti “internazionali” solo imponendo comportamenti conseguenti a chi, nel territorio nazionale, gestisce i siti stessi quindi i Providers. Cosa che questi ultimi non desiderano in maniera assoluta sia per motivi giuridici sia per motivi economici e finanziari.
Ora é il caso di ricordare che le aziende Telecom ( e, in genere, gli Internet Service Providers) sono di gran lunga i principali fornitori di pubblicità ai media a livello mondiale.
A mio avviso tutto ciò spiega ampiamente perché la grande stampa, le tv etc siano oggi schierati sostanzialmente contro tutte le proposte anche quelle più equilibrate e consapevoli, a tutela dei diritti sulla Rete. Una scelta ovviamente legittima ma, temo, miope; doppiamente miope per un Paese come l’Italia il cui nome nel mondo è stato a lungo considerato quasi un sinonimo di creatività.
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