Il vuoto strategico di Renzi. Da inseguitore a inseguito

di Peppino Caldarola

Renzi ieri ha provato a sdrammatizzare lo scontro avuto con Letta sulla legge elettorale. Lo ha fatto con parole rassicuranti tipo: “Non sarò io a far cadere Letta” oppure “È una barzelletta che io voglia far cadere Letta”, ma l’impressione che abbia messo il governo sotto tiro non è una suggestione di osservatori maliziosi. Il sindaco di Firenze, anche grazie al libro appena pubblicato, ha in questi giorni una grande esposizione mediatica. Lo interrogano su tutto e lui risponde sempre alla solita maniera: che non vuol fare il segretario del Pd, che augura il successo a Letta, che per la sua premiership non è ancora tempo. E’ difficile credere, però, che tutto questo dispendio di energie e di immagini sia solo un accidente imprevisto.

La ricerca del Midas del Pd

La verità è che Renzi si è rimesso in corsa ma a differenza dell’ultima volta, quando combatté e perse con Bersani alle primarie, questa volta non sa bene qual è la posta in palio e ha corretto anche alcuni suoi spunti. Il Renzi di oggi parla poco o niente di rottamazione, critica le “democristianerie” del governo sapendo che con questo linguaggio rincuora i piddini di sinistra, non sostiene più la Tav, dialoga fittamente con i “giovani turchi” alla perenne ricerca del Midas del Pd (nel nome di quello socialista che portò con Craxi al potere una nuova generazione di dirigenti). Questo spostamento gli ha però fatto perdere un po’ di appeal verso il centro-destra ed è assai difficile che oggi Renzi parli a quel mondo con la stessa persuasività di sei mesi addietro. Nel frattempo si comincia a vedere in azione una vera corrente renziana, con iniziative corsare, proposte di legge in solitario, l’emergere di nuovi commilitoni del sindaco di Firenze.
Tutto questo gran daffare, però, avviene nel vuoto strategico. Alla fine dello scorso anno si sapeva che cosa voleva Renzi: vincere le primarie e candidarsi contro Berlusconi e/o intestarsi il processo di rinnovamento del Pd. Dopo la sconfitta ha frenato la sua corsa sia per lealtà verso il vincitore sia perché i tempi della prospettiva personale sembravano allungarsi ai cinque anni previsti dalla inevitabile vittoria di Bersani. La non vittoria e la crisi del bersanismo hanno trovato impreparato il sindaco. Ha sperato per qualche giorno di essere chiamato dal presidente della Repubblica a formare il governo di larghe intese. Quando Napolitano ha chiamato Letta accettando il suggerimento di Berlusconi, Renzi ha dovuto rapidamente scegliere che cosa fare e come farlo. Una strada gli si era spalancata. Poteva, e può ancora, prendersi la segreteria del Pd. Non lo ha fatto e sembra che non voglia farlo. Dice di non sentire questo mestiere adatto a lui. Altri dicono che teme l’ostilità del partito. Una terza tesi è che abbia paura di uscire dal ruolo dell’inseguitore e di trovarsi in quello scomodissimo dell’inseguito.

Il fattore tempo
Sta di fatto che sul tema principale che ha oggi di fronte il Pd, Renzi non sa che cosa dire. Durante le votazioni per il Quirinale aveva lanciato il nome di Sergio Chiamparino. Costui qualche settimana dopo si era fatto avanti per dire che avrebbe volentieri corso per prendersi la guida del partito. Da Veltroni ha avuto un consenso entusiasta, da Renzi poche parole di circostanza. Silenzio renziano anche sugli altri concorrenti. C‘è una scuola di pensiero che sostiene che Renzi è pronto a trattare con i dalemiani l’assegnazione a questi ultimi, nel nome di Gianni Cuperlo, della guida del partito lasciando a se stesso quella del futuro governo. Ma anche in questo caso non c’è parola di Renzi che porti l’acqua a tutti questi mulini che hanno messo in moto le pale.
Altrettanto contraddittorio è il rapporto con Letta. Renzi sembra temerne il successo. Personalmente credo che sia poco probabile, e poco elegante, che l’attuale premier conduca una campagna elettorale contro il PdL dopo averci governato assieme. E’ più facile immaginare altri traguardi per il Letta giovane. Allora da dove nascono tante indecisioni di Renzi, tutti questi “mordi e fuggi”? Da due fattori. Il primo si chiama “tempo”. Renzi sa che la politica moderna brucia i suoi protagonisti. Sa che il girone mediatico è terribile e molti non sopravvivono, soprattutto coloro che devono sopravvivere facendo sempre notizia con prese di posizioni via via più eclatanti. Renzi si è giocata la carta più forte, la rottamazione dei dirigenti avendone in cambio praticamente nulla e anzi vedendosi costretto a dialogare proprio con i Veltroni e i D’Alema che aveva indicato come gli ostacoli da abbattere per costruire un grande PD. Se Letta durerà diciotto mesi o anche più si scavallerà il voto europeo e soprattutto quello fiorentino. Prima di quelle date Renzi ha bisogno di aver chiaro dove passerà le sue giornate da grande, se a palazzo Vecchio o a palazzo Chigi, oppure ai giardinetti se perde anche lui. Da qui il tiro al bersaglio contro Letta con la manina tenuta ben nascosta un minuto dopo che il premier accusando il colpo mostra di voler reagire.

Debolezza psicologica e culturale

Il secondo fattore, che neppure il suo libro chiarisce, è che la complessa armatura culturale renziana si rivela ancora troppo fragile per disegnare una leadership matura. Abbiamo un Renzi di lotta e di governo (in questo Paese i leader sono sempre di lotta e di governo) mentre non c’è ancora un Renzi esclusivamente di governo. Questo, assieme alla cura maniacale dell’immagine, è l’altro tratto che lo rende simile a Berlusconi e a Grillo. Eppure Renzi a queste due questioni deve metter mano. Il suo partito e l’opinione pubblica non gli daranno molto tempo per decidere. Se tarderà ancora, a poco a poco rischierà di veder sfiorire la propria immagine a vantaggio di altri nomi, anche di compagni di partito. Se non si trasformerà dal Gianburrasca che ha terremotato il Pd e messo paura a Berlusconi nel solido uomo di governo che serve di questi tempi rischia di venir soppiantato da altri leader o da altri tecnici. Il dato della sua insicurezza personale, a fronte di una epidermica sfrontatezza, è forse il tema più inquietante del nuovo probabile leader del Pd. Chi l’ha visto in tv dare ragione, ogni due per tre, a Diego Della Valle, mentre i grandi statisti si fanno dar ragione dagli imprenditori, ha colto questa sua debolezza psicologica e culturale.
Forse può superarla con buone letture e con buoni amici, ma è abbastanza probabile che pratichi le prime e abbia i secondi. Quello che gli manca è forse il coraggio di buttarsi davvero. Finora l’acqua gli è arrivata ai piedini, deve bagnarsi un po’ di più.