Innovazione e conoscenza al palo, così arranca pure la produttività

In Italia innovazione, conoscenza e tecnologia restano in disparte. E così a risentirne sono la produttività e quindi crescita e occupazione.

Innovazione e conoscenza al palo, così arranca pure la produttività

Meno produttività e meno innovazione. Soprattutto negli ultimi due anni. Il quadro disegnato dall’Istat nel suo rapporto annuale 2025 sulla situazione del Paese non fa di certo ben sperare per il futuro del tessuto economico e sociale del Paese. L’Italia è un Paese che, pur sapendo innovare, punta poco sulla conoscenza e sugli investimenti in tal senso. E le conseguenze sono inevitabili anche sul fattore occupazionale e sulla crescita.

Un dato sul 2024, sottolineato dall’Istat, evidenzia questo aspetto: “È diminuita la produttività del lavoro, del capitale e, soprattutto, la produttività totale dei fattori, che misura il contributo della conoscenza e dell’innovazione all’incremento di efficienza dei processi di produzione”. E non è bastato neanche “il rapido recupero dei livelli pre-pandemici nel biennio 2021-2022”, perché è stato poi “seguito da una fase di crescita a ritmi contenuti e concentrata in settori scarsamente dinamici in termini di produttività e innovazione”. In Italia si progredisce solo in settori poco innovativi e che non aumentano la produttività.

Innovazione e occupazione: il focus

I posti di lavoro, come testimonia l’Istat, aumentano. Ma non creano ricchezza né per il Paese né per i lavoratori. E restano indietro tanto la crescita economica quanto le retribuzioni. D’altronde a crescere sono soprattutto i posti di lavoro per gli over 50: ben otto nuovi occupati su dieci lo scorso anno avevano più di 50 anni. Così gli over 50 sono diventati il 40,6% degli occupati, in aumento di oltre 12 punti percentuali rispetto al 2019. All’opposto, è in calo il numero di 35-49enni tra i nuovi occupati, ora al 36,9%. Ma la vera differenza deriva da un altro dato: tra il 2000 e il 2024 il numero degli occupati è aumentato del 16%, la stessa percentuale di Francia e Germania. Fin qui nulla di negativo, in effetti. Se non fosse che a Parigi e Berlino a crescere sono le attività innovative, ad alta produttività. Qui no. Gli aumenti maggiori riguardano settori ad alta intensità di lavoro del terziario, come per esempio la ricettività e la ristorazione. Nulla che possa portare un reale aumento di produttività e reale innovazione.

I grandi assenti

L’innovazione in Italia arranca. Tra il 2019 e il 2023 le attività ad alta tecnologia nella manifattura e nei servizi sono quelle con una crescita più sostenuta del valore aggiunto in Italia, ma sono comparti con “un peso limitato sulla struttura del sistema produttivo italiano”. Parliamo dell’8% del valore aggiunto e del 4,5% degli occupati nella manifattura. E del 6% del valore aggiunto e del 3% degli occupati nei servizi. Troppo poco. La componente ad alta tecnologia nei servizi, sottolinea l’Istat, è meno sostenuta che in Francia e in Germania e molto meno sostenuta per la manifattura che in Spagna, dove si registra una crescita quattro volte superiore a quella italiana.

Da un punto di vista territoriale, resta il divario tra Nord e Sud. Poco più della metà delle imprese ad alta tecnologia attive da meno di cinque anni si trova al Nord. La Lombardia, da sola, rappresenta quasi un quarto del totale, seguita dal Lazio con il 15%. Più indietro il Mezzogiorno, che si ferma al 25% totale. A trainare i dati sono sempre i centri urbani maggiori: quasi un quarto del totale delle giovani imprese ad alta tecnologia si trova a Roma, Milano, Torino e Napoli.

C’è poi la questione produttività: tra il 2014 e il 2024 è cresciuta dello 0,7%. Ma negli ultimi due anni l’andamento è negativo, nonostante l’aumento dei posti di lavoro. Nel 2023 gli occupati laureati e impiegati come professionisti o tecnici sono circa il 40% dei lavoratori, 10 punti in meno della Germania e 17 della Francia. Mancano specialisti in Itc: la percentuale è tra le peggiori in Ue. E arranca l’intelligenza artificiale: la utilizza solo l’8% delle imprese italiane, contro il 20% di quelle tedesche.