Insultano Lucarelli. E poi umiliano una madre

Il Garante per la privacy ha detto che diffondere le immagini della madre che ha lasciato il figlio al pronto soccorso di Aprilia viola la riservatezza e la deontologia.

Insultano Lucarelli. E poi umiliano una madre

Ieri il Garante per la privacy ha messo nero su bianco quello che dovrebbe sapere chiunque abbia superato l’esame di giornalismo: diffondere le immagini della donna che ha lasciato il figlio al pronto soccorso di Aprilia dopo avere detto agli inservienti di dover andare in bagno e dopo avere verificato che nella carrozzina ci fossero latte e pannolini viola la riservatezza e la deontologia professionale.

Il Garante per la privacy ha detto che diffondere le immagini della madre che ha lasciato il figlio al pronto soccorso di Aprilia viola la riservatezza e la deontologia

La scena è circolata per ore sui siti delle maggiori testate giornalistiche italiane, soffiata dagli aliti dei sacerdoti dei valori della famiglia e dagli stomaci bisognosi di clic dei quotidiani online. Il Garante ha sottolineato come “le immagini si pongono in evidente contrasto con le disposizioni della normativa privacy e delle regole deontologiche relative all’attività giornalistica” e quindi “non avrebbero dovuto essere trasmesse, in quanto lesive della dignità della donna, in un momento di particolare fragilità”.

Ci sarebbe da capire anche chi abbia dato ai giornalisti quel video registrato per tutt’altre finalità, all’interno dell’ospedale. Sconcerto è stato espresso anche dal Comitato pari opportunità dell’Ordine dei giornalisti che sottolinea come il volto ben visibile della donna sia andato in onda durante il telegiornale della rete ammiraglia Rai. I giornalisti senza esporre la donna avrebbero potuto indagare sui motivi che l’abbiano spinta a quel gesto oppure avrebbero potuto cogliere l’occasione per ricordare ai loro lettori che dal 1997 in Italia esiste una legge che garantisce il diritto di partorire in anonimato perché chi non è in grado di provvedere al proprio figlio sia garantita dall’anonimato che protegge lei e il minore.

Se il diritto all’anonimato rimane lettera morta (come già accaduto con la donna che affidò il figlio alla culla termica della clinica Mangiagalli di Milano e dovette sorbirsi una lettera pubblica del comico Ezio Greggio) sarà sempre più difficile per chi non è in grado di sostenere “l’unica maternità possibile” della propaganda di questi tempi. L’episodio però racconta molto anche dell’ipocrisia del giornalismo di questi tempi.

Non sono passati molti giorni da quando Selvaggia Lucarelli e il compagno Lorenzo Biagiarelli sono stati bombardati da giornalisti paternalisti che li hanno accusati di avere spinto al suicidio una ristoratrice nel lodigiano. In quell’occasione firme più o meno autorevoli del giornalismo italiano hanno urlato allo scandalo perché la sottolineatura di una recensione falsa (da cui conseguirebbe una pubblicità truccata) avrebbe “esposto” una “cittadina” al pubblico ludibrio, causandone il crollo emotivo. In difesa della delicatezza generale per giorni alcuni quotidiani e trasmissioni hanno martellato la coppia Lucarelli-Biagiarelli con la furia dei vendicatori di fronte a un’occasione che non avrebbero mai potuto sperare.

Articoli e articoli per insegnare l’arte della riservatezza e la protezione dei fragili, con il solo intento di pestare ancora più forte i propri avversari. Alcune sono le stesse testate che non hanno esitato un solo secondo prima di banchettare sul drammatico momento che ha segnato la vita di due persone, in un luogo universalmente ritenuto sicuro perché adibito alla cura delle persone.