Israele attacca in Cisgiordania e mette nel mirino pure il Libano. Bibi torna a far tremare il Medio Oriente

Israele attacca in Cisgiordania e mette nel mirino pure il Libano. Bibi torna a far tremare il Medio Oriente

Israele attacca in Cisgiordania e mette nel mirino pure il Libano. Bibi torna a far tremare il Medio Oriente

Sulla carta è una tregua; nella realtà, quella tra Hamas e Israele sembra più che altro una guerra a bassa intensità, con combattimenti e bombardamenti che continuano a insanguinare la Striscia di Gaza. Nella notte di ieri, diverse esplosioni hanno illuminato il cielo sopra Rafah e Khan Yunis, mentre i mediatori internazionali – come accade da oltre un mese – lavorano senza sosta nel tentativo di tenere insieme i pezzi di un cessate il fuoco che appare sempre più fragile. Del resto, Israele continua a colpire obiettivi di Hamas nel sud dell’enclave, sostenendo di rispondere a lanci di razzi e a nuove minacce provenienti dai tunnel sotterranei.

La bozza della risoluzione Usa all’Onu per blindare il piano di pace di Trump

Così, mentre il cessate il fuoco prosegue sollevando più di un interrogativo sulla sua reale efficacia, a New York è andato in scena un importante incontro tra i membri del Consiglio di sicurezza – inclusi quelli non permanenti e i principali Paesi arabi. L’occasione, come trapela dai media statunitensi, è servita all’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Michael Waltz, per illustrare una bozza di risoluzione volta a blindare politicamente il piano di pace di Donald Trump.

Il testo prevede l’autorizzazione di una forza internazionale di stabilizzazione con un mandato di almeno due anni, incaricata di garantire la sicurezza della Striscia di Gaza e di Israele durante questa delicata fase di transizione. La missione dovrebbe accompagnare il graduale ritiro israeliano dalla Striscia e favorire il ritorno dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) a Gaza. Insomma, un piano rivoluzionario che sarebbe stato accolto con favore proprio dall’Anp e dagli altri Paesi arabi.

Israele e Stati Uniti distanti

Sul terreno, però, la diplomazia si muove a fatica. A far trattenere il fiato – con il rischio di una ripresa delle ostilità – è la situazione che si registra a Rafah, la città nel sud della Striscia attualmente sotto il controllo delle truppe israeliane, dove almeno 300 combattenti palestinesi sarebbero rimasti intrappolati nei tunnel.

Per metterli in salvo, Hamas è da giorni in contatto con i mediatori di Egitto, Qatar, Turchia e Stati Uniti, al fine di negoziare un passaggio sicuro per i propri miliziani. Una prospettiva che irrita Benjamin Netanyahu, il quale quotidianamente si oppone a ogni intesa che possa essere interpretata come una resa ai combattenti del movimento islamista, ribadendo che l’Idf dovrà stanarli e “annientarli”.

Eppure, secondo Axios, l’amministrazione Trump – di fronte all’ostinazione del governo di Tel Aviv – avrebbe preso la situazione in pugno, bypassando l’esecutivo Netanyahu, così da trasformare la crisi di Rafah in un’occasione politica: ottenere il disarmo pacifico dei miliziani disposti ad accettare il salvacondotto – con annessa amnistia – nei territori controllati da Hamas.

Il fronte libanese si scalda

Quel che è certo è che, finché la pace non verrà stabilizzata in modo definitivo, la guerra continuerà a mietere vittime. In Cisgiordania, durante un’operazione nella città di al-Yamun, vicino a Jenin, l’esercito israeliano ha ucciso un ragazzo di 15 anni, Murad Abu Seifin. L’uccisione è stata confermata dall’Idf, sostenendo che il giovane stesse lanciando un ordigno contro le truppe; fonti palestinesi, però, smentiscono questa ricostruzione e puntano il dito contro l’azione eccessivamente violenta dei soldati israeliani.

Gli attacchi dell’Idf hanno interessato anche alcune aree della Striscia, in particolare nei pressi di Rafah, e il Libano, dove si teme la riapertura di un nuovo fronte di guerra. L’esercito israeliano ha colpito nuovamente il sud del Paese, prendendo di mira i siti di Hezbollah e causando almeno tre vittime e diversi feriti.

Secondo il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, i raid farebbero parte di “un’azione più ampia per indebolire il gruppo filo-iraniano”, con Tel Aviv che si starebbe addirittura preparando “a un nuovo round di scontri”.

Del resto, la gravità e il peggioramento della situazione erano già emersi dalle parole dell’inviato americano Tom Barak, che la scorsa settimana aveva dichiarato che “il Libano deve disarmarsi rapidamente”, avvertendo che, in assenza di un’intesa politica, Washington potrebbe sostenere una nuova offensiva israeliana, alla quale Netanyahu sembra più che propenso.

Di tutta risposta, Hezbollah ha rivendicato “il legittimo diritto a difendersi da un nemico che non cessa la sua aggressione” e ha respinto con forza “qualsiasi negoziato politico con Israele” volto a ottenere il disarmo completo del movimento libanese.