Israele, uccisa la leader dell’Ufficio politico di Hamas. E dopo l’orrore all’ospedale il Medio Oriente si infiamma

Israele annuncia di aver ucciso Jamila al-Shanti, tra le leader di Hamas. E tutto il Medio Oriente si infiamma dopo l'attacco all'ospedale.

Israele, uccisa la leader dell’Ufficio politico di Hamas. E dopo l’orrore all’ospedale il Medio Oriente si infiamma

Dalla Tunisia all’Egitto e al Libano, il Medio Oriente ribolle di rabbia e in queste ore si segnalano proteste di piazza in tutta l’area, scontri, rivolte e perfino l’evacuazione di diverse ambasciate statunitensi per il rischio di attentati. Sono ore davvero drammatiche quelle che seguono la distruzione dell’ospedale di Al-Ahli a Gaza city che secondo il mondo arabo è stato colpito dall’aviazione israeliana mentre per quest’ultimi è stato raggiunto da un missile difettoso sparato dall’organizzazione terroristica Jihad islamica palestinese.

Intanto continua la battaglia sul campo, con l’esercito israeliano che nelle ultime ha ucciso, in un attacco a Gaza, Jamila al-Shanti, la vedova del cofondatore di Hamas Abdel Aziz al-Rantisi. È stata la prima donna eletta nel 2021 nell’Ufficio politico dell’organizzazione. Al-Rantisi fu ucciso nel 2004 durante la seconda intifada, in un attacco israeliano. Intanto la situazione resta bollente in tutta l’area.

Le accuse tra Israele e Hamas

Difficile dire come siano andate le cose perché al momento è in corso un rimpallo di responsabilità con i leader mediorientali e diversi testimoni oculari che puntano il dito su Benyamin Netanyahu mentre i militari israeliani sostengono il contrario e portano presunte prove che li scagionerebbero. Tra queste un video girato dai droni di Tel Aviv che hanno sorvolato il luogo dell’impatto, ossia il parcheggio dell’ospedale, rilevando che “non è presente alcun cratere” compatibile con gli armamenti in loro possesso, e un secondo filmato in cui si vede un razzo partire da Gaza ed esplodere in volo proprio sopra al nosocomio.

Poi, sempre per provare la colpevolezza degli alleati di Hamas, hanno divulgato un audio in cui si sentono due miliziani discutere dell’esplosione all’ospedale e ammettere che a causarla sarebbe stato un razzo difettoso. Dal canto loro diversi testimoni oculari – e molti leader arabi – sostengono l’esatto opposto affermando che la responsabilità di quello che viene definito “un crimine di guerra” è tutta di Netanyahu e che nessun razzo a disposizione di Hamas può causare una deflagrazione potente come quella che si vede in numerosi video diventati virali.

Gli scontri di piazza

Se al momento appare difficile capire come siano andate davvero le cose, l’unica certezza è che quanto accaduto ha ulteriormente esacerbato le tensioni. Proprio per questo il coordinatore speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha detto chiaro e tondo di credere “che siamo sull’orlo di un abisso profondo e pericoloso che potrebbe cambiare la traiettoria del conflitto israelo-palestinese, se non del Medio Oriente nel suo insieme”, con “il rischio di un’espansione di questo conflitto che è reale, molto molto reale, ed estremamente pericoloso”.

Che ciò sia vero lo si capisce proprio dalla proteste di piazza che ieri sono divampate praticamente in tutta l’area e non solo. In Tunisia, migliaia di persone si sono riversate in strada per manifestare il proprio sostegno al popolo palestinese a suon di marce e veglie di solidarietà che sono state organizzate a Gafsa, a Medenine, Zarzis e Ben Guerdane, Tataouine, e Sfax. Proteste che come un virus contagioso si sono espanse a macchia d’olio interessando anche la Libia, con masse di cittadini inferociti sia a Tripoli che a Misurata, il Marocco, l’Egitto e la Turchia.

Israele, ambasciate nel mirino

Proprio nel Paese guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan che negli ultimi giorni sta alzando notevolmente i toni contro la brutale reazione di Israele e che ha puntato il dito contro Netanyahu proprio per la distruzione dell’ospedale di Al-Ahli, si sono registrati momenti di alta tensione. Qui, infatti, una gigantesca marea umana ha iniziato a manifestare fuori dal Consolato di Israele a Istanbul. Proteste che sono rapidamente peggiorate con migliaia di persone che hanno provato ad attaccare l’ambasciata di Tel Aviv nel quartiere di Levent, causando il duro intervento della polizia che ha causato un morto – a quanto pare per un attacco cardiaco -, 63 feriti e decine di arresti.

Tutte ragioni che hanno convinto le ambasciate israeliane e statunitensi di Marocco, Egitto e Libia, a disporre l’evacuazione di tutto il personale. Preoccupante anche la situazione in Giordania e in particolare nella sua capitale, Amman, dove almeno 5mila persone si sono radunate vicino all’ambasciata di Israele – già evacuata nei giorni scorsi – e hanno tentato un assalto sventolando bandiere palestinesi ed iraniane. Una rivolta che le forze di sicurezza giordane hanno faticato non poco a contenere, dovendo ricorrere a fumogeni, lacrimogeni e a cariche di alleggerimento.

Il fronte caldo

Ma la situazione più grave, come prevedibile, è quella che si registra in Libano dove la tensione è ormai vicina al punto di rottura. Qui le proteste sono scoppiate in tutto il Paese e soprattutto nella capitale, Beirut, con svariate centinaia di persone che si sono radunate davanti alla sede dell’ambasciata americana decise ad assaltarla. Per disperdere la folla, le forze di sicurezza sono intervenute lanciando gas lacrimogeni e scontrandosi con i manifestanti. Tensioni che hanno convinto l’Arabia Saudita a ordinare l’evacuazione del personale della propria ambasciata, invitando anche i proprio cittadini a “lasciare immediatamente il territorio libanese”.

Il timore dei sauditi è che crescendo le tensioni nel Paese e davanti ai continui scambi di artiglieria tra Israele ed Hezbollah, presto o tardi il Libano verrà coinvolto nel conflitto. Del resto che potrebbe succedere lo continua a ripetere il presidente iraniano, Ibrahim Raisi, che ieri ha affermato che “i crimini commessi a Gaza e in Palestina saranno vendicati dai popoli e dalla nazione islamica”, aggiungendo che “la liberazione di Al-Quds Al-Sharif è più vicina di quanto i nemici immaginino”.

Parole a cui hanno fatto seguito quelle del capo del consiglio esecutivo di Hezbollah, Hashem Safieddine, secondo cui “ci sono decine di migliaia di nostri sostenitori pronti con il dito sul grilletto per andare al martirio”. “L’attacco all’ospedale è stato premeditato. Non c’è stato alcun errore e Biden non si è scusato. Netanyahu gli ha detto che Israele non ha preso di mira l’ospedale e lui gli ha creduto. Nei prossimi giorni risponderemo a questa nuova menzogna” ha minacciato Safieddine che poi ha concluso: “A Biden, Netanyahu e agli ipocriti europei diciamo: attenzione. Qualsiasi errore commettiate con la nostra resistenza riceverete una risposta fragorosa più forte della vostra”.