Longevi ma poveri. Gli italiani vivono più a lungo rispetto alla media degli altri Paesi europei ma la qualità della loro vita è sicuramente peggiore. È il dato che emerge dal Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) 2024 dell’Istat. Nello scorso anno la speranza di vita alla nascita ha raggiunto un nuovo massimo con 83,4 anni (85,5 per le donne e 81,4 anni per gli uomini). È stabile rispetto al 2023 e molto maggiore del 2014 (82,6 anni). In Europa, l’Italia è in posizione favorevole: la speranza di vita alla nascita supera di oltre 2 anni quella media dei 27 Paesi Ue. Ma con l’aspettativa di vita aumenta anche la povertà.
Con le destre italiani longevi ma poveri
Nel 2024 il rischio di povertà in Italia è al 18,9%, superiore alla media Ue27 (16,2%). La disuguaglianza del reddito netto è anche più alta (5,5% Italia contro 4,7% Ue27). L’incidenza della povertà assoluta peggiora nel lungo periodo: dal 2014 (6,9%) cresce costantemente, ad eccezione del 2019 (7,5%), anno in cui è diminuita per effetto congiunto del Reddito di cittadinanza e del miglioramento dei livelli di spesa delle famiglie meno abbienti. Nel 2022 l’incidenza torna a crescere (9,7%), in larga misura per la forte accelerazione dell’inflazione che colpisce in maniera più dura le famiglie meno abbienti. Negli anni successivi è sostanzialmente stabile: 9,7% nel 2023 e 9,8% nel 2024.
L’Italia ha svantaggi sul mercato del lavoro
Sull’occupazione il governo Meloni non fa che propaganda esaltando l’aumento degli occupati. Ma il gap rispetto all’Europa continua a essere ancora negativo per l’Italia. Rispetto al contesto europeo, l’Italia presenta significativi svantaggi nel mercato del lavoro, con un tasso di occupazione al 67,1%, 8,7 punti sotto la media Ue27; il divario si accentua tra le donne, tra le quali il tasso scende al 57,4% in Italia (70,8% Ue27). Particolarmente elevata è anche la forbice tra le persone che lavorano in part-time involontario (8,5% Italia; 3,2% Ue27) soprattutto tra le lavoratrici (13,7% Italia; 4,8% Ue27).
Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni continua a crescere, ma con minore intensità rispetto agli anni precedenti. Il divario di genere è stabile a 19 punti e si riduce al crescere del titolo di studio posseduto (7,2 punti percentuali per i laureati). Tra il 2022 e il 2023 aumenta il lavoro non regolare (dal 9,7% al 10,0%). Secondo l’ultimo dato regionale disponibile, nel 2022 il lavoro non regolare rimane più diffuso nel Mezzogiorno (13,4% contro 7,7% del Nord e 10,0% del Centro).
Precari a “lungo termine”
Il lavoro a tempo determinato si riduce, ma la quota di chi svolge un lavoro a termine da almeno cinque anni con lo stesso datore, sul totale dei lavoratori a termine, sale da 18,1% nel 2023 a 19,4% nel 2024 (+1,3 punti percentuali). L’aumento è più accentuato nel Mezzogiorno dove il fenomeno è più diffuso (25,7%). Tra il 2023 e il 2024 la quota di lavoratori a termine transitati verso un lavoro a tempo indeterminato è pari al 16,6%, inferiore al periodo precedente (21,4% tra il 2022 e il 2023).
Nel campo dell’istruzione e formazione l’Italia, nonostante i miglioramenti, si piazza nelle ultime posizioni per diplomati e laureati, con solo il 31,6% dei 25-34enni laureati, contro il 44,1% nell’Ue27 e il 66,7% delle persone di 25-64 anni con un diploma di scuola secondaria di secondo grado (80,5% Ue27). E la percentuale di lavoratori con formazione universitaria nelle professioni scientifico-tecnologiche è inferiore di 7,4 punti rispetto alla media europea (26,7% Italia contro 34,1% Ue27). Sul fronte dell’innovazione e della ricerca, poi, l’Italia investe meno in ricerca e sviluppo (1,37% del Pil, contro il 2,22% dell’Ue27).
L’economia di Italia e Germania è ferma
Una raffica di indicatori per il governo Meloni nient’affatto promettente, a cui si è aggiunta la doccia fredda della Bce. Francoforte ieri ha confermato che, rispetto al resto degli altri Paesi, l’economia di Italia e Germania è ferma. Nel terzo trimestre la crescita dell’area euro – pari a +0,2% – “ha continuato a essere caratterizzata da notevoli differenze tra le maggiori economie dell’area dell’euro”, con un +0,6% in Spagna, +0,5% in Francia e +0,4% nei Paesi Bassi, e un Pil “rimasto invariato in Germania e in Italia”, si legge nel Bollettino della Banca centrale.