La libertà di stampa, così come la libertà di parola, sono le più grandi garanzie che le grandi Costituzioni liberali hanno sempre messo a tutela della democrazia. Informare e denunciare sono il concime necessario per consentire a qualunque comunità di fare scelte più consapevoli possibile in politica, in economia, nelle relazioni tra persone. Chi fa informazione e denuncia è perciò un problema per chi ha cose da nascondere o riesce a lucrare – non necessariamente commettendo illeciti – grazie alle maglie larghe di uno Stato dove leggi ad personam, lobbisti, gruppi di pressione riescono a favorire Tizio e sfavorire Caio. Come fare allora a risolvere questo problema? Semplice: comprando i giornali o – se questo non è possibile – mettendo la museruola a quelli che danno fasticio. Il meccanismo giuridico più semplice è quello di querelare questi giornali, anche quando hanno scritto il vero. Si tratterà in questo caso di querele temerarie, ma per l’obiettivo di chi vuol far calare il silenzio su una determinata vicenda sono più che efficaci.
LOTTA IMPARI
Una volta raggiunti da querela, i giornali e i giornalisti sono costretti a mettere mano al portafoglio, conferire un incarico per l’assistenza legale a un avvocato e sperare di ottenere giustizia. Di fronte alle richieste di milionari che pretendono risarcimenti stratosferici dagli editori (che hanno quasi tutti i bilanci in rosso) e dai giornalisti (che spesso hanno contrati precari o non ne hanno affatto, e dunque non guadagnano nemmeno quanto basta a mantenersi) è chiaro che l’intimidazione spesso funziona. Per fortuna finalmente qualche tribunale sta cercando però di riequilibrare le posizioni di forza in campo, iniziando a condannare chi utilizza la propria posizione economicamente fortissima per mettere la museruola a giornali e giornalisti. Così vanno per menare e finiscono menati Roberto Formigoni e Luca Cordero di Montezemolo, che avevano querelato temerariamente Milena Gabanelli (per alcune inchieste di report) e Oscar Giannino, difesi dall’avvocato Caterina Malavenda. Montezemolo, in particolare, aveva chiesto 800mila euro per presunti danni. Il giudice ha capito però la forma di pressione e ha condannato l’ex presidente della Lombardia a pagare 5mila euro più altri 7mila di spese e l’ex presidente della Ferrari altri 50mila, anche qui con le spese processuali.