La battaglia di Enzo Tortora è stata un’illusione. L’avvocato Della Valle spiega perché, a 25 anni dalla morte, nulla è cambiato nella giustizia

di Vittorio Pezzuto

Alle dieci e trenta di venticinque anni fa Enzo Tortora moriva nella sua casa milanese di via dei Piatti. Da allora le sue ceneri riposano al riparo di una colonna tagliata a metà su cui è incisa una sola frase: “Che non sia un’illusione”.
Raffaele Della Valle, amico del giornalista e suo avvocato difensore, riconosce scorato che «la battaglia di Enzo è stata davvero un’illusione. In questi anni i problemi della giustizia non sono stati risolti ma solo peggiorati. Il carcere preventivo adesso si chiama custodia cautelare ma il succo della storia resta lo stesso. Allora era ad libitum, oggi la si giustifica con il pericolo di reiterazione del reato: un criterio discrezionale, spesso usato in modo cervellotico. E invece deve essere l’extrema ratio, non un’anticipazione della pena o addirittura uno strumento di tortura per ottenere confessioni. Il tribunale del riesame è poi rimasto il tribunale del rigetto. E la stampa corriva alla procura continua a lavorare all’immagine dei pm in cambio di materiale giudiziario di prima mano, che viene depositato direttamente in edicola. In più abbiamo le intercettazioni telefoniche a piacere, con dei provvedimenti autorizzativi che fanno letteralmente schifo per quanto sono immotivati. Perché il formalismo non conta più niente, a far legge è il pressapochismo. Nelle sentenze ormai si legge di tutto. Qui è tutto un azzardo ». E la politica? «Latitante. Cos’hanno fatto i politici per le carceri? Il super affollamento del 1983 è rimasto tale e quale, con l’aggiunta di una pericolosità assoluta per le condizioni sanitarie dei reclusi. Perché le Asl non vanno a fare ispezioni senza preavviso nelle celle invece che vessare le aziende private? Scoprirebbero 67mila detenuti, la più parte in attesa di giudizio. Pensi che qualche giudice illuminato del tribunale di sorveglianza ha sospeso addirittura l’esecuzione di sentenze definitive a causa delle condizioni disumane di queste fogne. Un triste paradosso: ti sbattono in galera quando godi della presunzione di innocenza e te ne tengono fuori quando è stata accertata la tua colpevolezza …».
La grande battaglia di Tortora e dei radicali è stata quella del referendum (vinto e tradito dal Parlamento) per la responsabilità civile dei magistrati. «Guardi, oggi mi accontenterei di quella disciplinare…». Della Valle è un fiume in piena. «Quelli che si riempiono la bocca con il codice accusatorio vengano pure a vedere cosa succede nelle udienze dibattimentali, con i testimoni costretti a rispondere su fatti di cinque-sei anni prima e l’accusa che li pressa perché confermino quanto a suo tempo è stato messo a verbale. E’ così che si forma la prova in dibattimento! Il nostro è un sistema finto».

Un accostamento sgradevole
Della Valle è stato il primo capogruppo alla Camera di Forza Italia e ha ricoperto anche la carica di vicepresidente della Camera. «Sono contento di quell’esperienza ma quella del parlamentare è una fatica di Sisifo. Mi sono bastati un paio di anni per capire che lì stavo solo a perdere tempo». Come quando, nominato dal ministro Castelli, ha lavorato dal 2001al 2006 alla Commissione Nordio per la riforma del codice penale: «Un lavoro serio, completo, finito in un cassetto».
Anche lui ha sentito il comizio di Berlusconi a Brescia. «Si è trattato di un accostamento inopportuno e sgradevole. Tortora non era innocente, era addirittura estraneo. Non aveva mai frequentato nessuno dei personaggi che l’accusavano mentre lo stesso non si può dire di Berlusconi. Ma soprattutto si è difeso nel processo e non dal processo, dimettendosi da deputato europeo dopo la condanna in primo grado a dieci anni di carcere per spaccio di droga. Tra le due storie mancano quindi le analogie. E’ solo un paragone mal posto».