La beffa in busta paga, stipendi più bassi di oltre 1.000 euro: ecco per chi

Il taglio del cuneo fiscale rischia di diventare una beffa in busta paga per tantissimi lavoratori, che possono perdere circa 1.100 euro.

La beffa in busta paga, stipendi più bassi di oltre 1.000 euro: ecco per chi

La conferma del taglio del cuneo fiscale rischia di tradursi in una beffa in busta paga per tantissimi lavoratori dipendenti. E di diventare un ostacolo per i rinnovi dei contratti e un deterrente agli aumenti di stipendio. A dire quanto già da tempo viene sottolineato dai giornali è stato anche l’Ufficio parlamentare di bilancio. 

Con il taglio del cuneo fiscale confermato fino alla soglia dei 35mila euro, chi guadagna anche solo un euro in più di questo tetto perde circa 1.100 euro l’anno in busta paga. La presidente dell’Upb, Livia Cavallari, ha sottolineato questo rischio in audizione sulla manovra nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. 

Taglio del cuneo fiscale, l’allarme dell’Upb

Cavallari avverte sottolineando che questo fenomeno “assumerebbe rilevanza sostanziale qualora la contribuzione dovesse essere trasformata da intervento temporaneo a permanente”. Diventando anche “un forte disincentivo al lavoro e renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale”. 

L’aumento del salario di un dipendente, infatti, per risultare conveniente dovrebbe essere “tale da compensare anche la perdita del beneficio contributivo”. Cioè, detto più semplicemente, se un lavoratore contratta un aumento di stipendio da 34mila a 35mila euro (giusto per fare un esempio), invece di trovarsi con mille euro in più in busta paga a fine anno, si troverà con 100 euro in meno. Un aumento che, quindi, non converrebbe al dipendente e non avrebbe senso neanche per l’azienda. 

Sgravio contributivo, la beffa in busta paga

Spieghiamo bene il meccanismo: il taglio del cuneo fiscale è previsto per fasce e così verrà confermato anche per il 2024. Parliamo di uno sgravio contributivo di sette punti per redditi mensili fino a 1.923 euro (25mila euro annui) e di sei punti fino a 2.692 euro (cioè 35mila euro l’anno). 

Il beneficio massimo corrisponde a circa 1.600 euro per il limite della prima fascia e a circa 1.900 per la seconda. Se si supera la prima fascia e scatta la seconda, la riduzione è minima: 150 euro persi. Se si supera la seconda, invece, si perdono 1.100 euro circa. 

In pratica, questo meccanismo non conviene a lavoratori e aziende che rinunciano ad applicare gli aumenti. E questo può disincentivare anche la contrattazione collettiva. Ricordiamo, poi, che il taglio del cuneo si calcola sulle singole buste paghe mensili, il che vuol dire che in caso di superamento della soglia dei 2.692 euro si perde lo sgravio. Così anche eventuali premi una tantum, straordinari e festivi che fanno salire il livello mensile di reddito saranno disincentivati. 

Ciò che manca al taglio del cuneo fiscale, come sottolineato ormai da mesi, soprattutto con l’aumento dello sgravio a 6/7 punti, è un meccanismo di decalage. Come quello, per esempio, applicato sul famoso bonus da 100 euro in busta paga (ex bonus Renzi) che calava con l’aumento del reddito. Questo sistema oggi non c’è e così con un euro in più di stipendio se ne possono perdere oltre mille.