La bufera Mose e il Pd: comincia lo scaricabarile

di Lapo Mazzei

Questa notte (ieri, ndr) non ho dormito, perché speravo che Cortina potesse ospitare i mondiali di sci alpinismo del 2019. Aveva le carte in regola, avevamo una squadra. Di certo i 17 membri del board che hanno compiuto la scelta avranno visto la notizia dell’arresto del sindaco di Venezia, più il sindaco di Cortina che sta al confino. Sicuramente non ha aiutato”. Difficile, se non impossibile, dare torto al presidente del Coni, Giovanni Malagò,  in merito alla caduta di Cortina. Perché al di là del surreale dibattito politico, sempre più avvitato su se stesso e non proiettato verso il futuro, che si è innescato dopo lo scandalo del Mose uno degli effetti più devastanti della corruzione scoperta dalla magistratura è proprio questo: il crollo di credibilità del nostro Paese. Un  crollo che rischia di trasformarsi in una frana, capace di trascinare a valle anche i fragili equilibri che tengono insieme l’attuale maggioranza di governo, visto come vanno reagendo gli uomini del premier. Il quale, giova ricordarlo,  ha detto che servirebbe il reato di “alto tradimento”, che introdurrebbe il Daspo per i politici corrotti, che il problema non sono le regole ma i ladri. Una presa di posizione, quella del premier, che assomiglia già ad una condanna.

 

Punti di vista dissonanti

Eppure non tutti la pensano come Renzi, anche nello stesso Pd, tanto che il partito appare spaccato su un tema tanto delicato quanto rischioso per la sua evidenza. Piero Fassino, per esempio, si è addirittura spinto oltre da mettere la mano sul fuoco circa l’operato del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni.  Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Luca Lotti, coordinatore della segreteria del Pd ed ex responsabile Enti locali durante la reggenza di Guglielmo Epifani,  invece, ha scelto di cancellare Orsoni, come faceva Stalin con le foto che ritraevano i personaggi scomodi. Per il fedelissimo di Renzi il sindaco di Venezia non è mai stato del Pd. Insomma, avanti tutta in ordine sparso.  E ora c’è davvero il rischio che il Pd, appena riemerso da un trionfale bagno elettorale, si divida su quale atteggiamento tenere per quelli che una volta furono definiti “compagni che sbagliano”: severità, equilibrio o indulgenza?  Dopo l’uscita di Lotti a parlare è Chiara Geloni, giornalista che di mestiere faceva il direttore di Youdem e che al congresso si è schierata contro la corrente Renzi. Nel suo blog sull’Huffington Post la Geloni entra dritto nella questione: “Caro Luca Lotti, scusami tanto. Ma come fai a dire che Orsoni non è del Pd? Orsoni, il sindaco di Venezia. Quello che ha vinto le primarie, sostenuto dal Pd. E poi le elezioni, al primo turno, sostenuto e festeggiato da tutto il Pd. Uno dei mitici sindaci del Pd, hai presente? Quelli che volete fare senatori, per il cambiamento. Ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci”. Il senso del ragionamento è chiaro e non lascia margini al dubbio. Ma quella della Geloni è una sfida, che raccoglie anche una sensazione diffusa e cioè che Renzi non abbia detto “abbastanza”: “Vedi, lui (Renzi, ndr) “faremo pulizia” in questi giorni non l’ha detto, anche se in tanti gli chiedono di dirlo” sostiene la Geloni.  Il sospetto avanzato sarebbe ancor più devastante dei danni innescati dall’inchiesta:  “non può”. D’altra parte la posizione di Lotti non è apparsa casuale. È la stessa sostenuta da Roger De Menech, segretario regionale del Pd in Veneto, eletto grazie a un patto delle correnti locali che a livello nazionale facevano capo a Matteo Renzi ed Enrico Letta. Insomma, nessuno era del Pd, ma tutti sono stati eletti grazie a quei voti. Altra ragione per tornare ad alimentare la rissa interna al partito. “Sono ore di avvilimento”, dice l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, “emergono comportamenti criminali che, se confermati, meritano una punizione severa.  Se non si cambiano certi meccanismi, combattere la corruzione è come andare a cavare l’acqua dal mare con un secchio”, aggiunge l’esponente Dem, “basta con queste legislazioni speciali. Se ci sono dei ladri cerchiamo di punirli”. Riferendosi poi alla “questione morale” affrontata, a suo tempo, da Berlinguer, Bersani ha ricordato che il leader comunista “diede un grande messaggio: se i sistemi politici non sono sbloccati e diventano paludosi provocano corruzione, corrompimento morale. In più Berlinguer era l’immagine stessa della buona politica della corrispondenza millimetrica tra le parole e i fatti”. Ed è quello che dovrebbe fare oggi il Pd.

A Roma i Dem vogliono rispedire Marino su Marte di Leonardo Rafanelli

Che la luna di miele tra il Pd e il sindaco di Roma Ignazio Marino fosse finita (ammesso che sia mai cominciata) lo si era capito da un po’. Ma ieri, nel giorno dello sciopero dei dipendenti capitolini contro quello che è il loro stesso datore di lavoro, è arrivata quasi una presa di posizione ufficiale. Emblematiche, a questo proposito, le parole del  capogruppo del Partito Democratico in Campidoglio, Francesco D’Ausilio: “Mi auguro – ha dichiarato – che lo sciopero riesca, per ritrovarci insieme con ancora più forza al tavolo delle trattative. Noi saremo al fianco dei lavoratori e delle loro preoccupazioni: non abbiamo paura della loro rabbia, siamo qui per interloquire con loro”. E su Facebook una dura presa di posizione è arrivata anche dall’eurodeputato David Sassoli, che tra l’altro alle primarie per il Campidoglio figurava tra gli sfidanti di Marino. Per lui lo sciopero contro il sindaco Pd è un “momento doloroso”, che però capita proprio perché in campagna elettorale sono state fatte troppe promesse. “Abbiamo vinto il Comune e 15 municipi su 15 – ha aggiunto – Non abbiamo alibi. Non abbiamo scusanti. Non abbiamo nemici o complotti esterni da evocare”. E ancora: “La verità è che una grande Capitale va ogni giorno consultata, non umiliata. Va resa partecipe, coinvolta, soprattutto nei momenti di difficoltà”. Insomma, i democratici a Roma cavalcano la protesta dei dipendenti e prendono le distanze dal loro stesso sindaco. Ma anche sul piano nazionale le cose non vanno meglio al chirurgo genovese: basta tornare alla chiusura della campagna elettorale dello scorso 22 maggio, quando Renzi non lo volle sul palco, o alla festa del Pd in Piazza Farnese, altra occasione in cui Marino non fu invitato.

 

Game over?
La spallata potrebbe essere nell’aria, anche perché la vittoria renziana alle Europee non è stata di poco conto, e in questo trionfo sembrano appunto stonare le difficoltà che nella capitale stanno incontrando il partito e soprattutto il sindaco: troppe gaffe, troppe incertezze. Le primarie, del resto, le aveva vinte da outsider, con buona parte del partito schierato contro di lui e sguardi più benevoli che arrivavano dalle parti di Sel. Un anno è passato, e il Pd non fa che indicare a Marino la linea da seguire manifestandogli pubblicamente una fiducia sulla quale i dubbi si fanno tuttavia sempre più consistenti. Le voci di corridoio indicano addirittura possibili sostituti: Enrico Gasbarra, giovane e con un’esperienza da presidente del Municipio e presidente della Provincia, o addirittura il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia. Ancora è presto per dire con certezza quale sarà il futuro del sindaco “marziano”, ma ieri, in testa al corteo dei dipendenti del Campidoglio, su uno striscione si leggeva: “Game over. Insert coin to continue! Salario, diritti, dignità per garantire servizi ai cittadini”. Secondo i manifestanti, per Marino il gioco è finito. E il Pd non ha mancato di far sentire loro il proprio appoggio.