La Comunità in pericolo. Far riflettere l’Europa? Solo la Brexit può riuscirci. Per l’economista Nino Galloni il referendum inglese è l’ultimo avvertimento all’Ue

di Edoardo M. Infante

Tra i partner europei non tutti sono meravigliati dalla tensione tra Roma e Bruxelles. Anzi, in Gran Bretagna, dove ci si prepara al referendum sulla possibile Brexit, questo e altri contrasti sono già ampiamente messi in conto. Un epilogo naturale per una convivenza difficile, tanto da vedere oggi gran parte dell’elettorato di sua Maestà pronto a uscire dall’Unione. Uno schiaffo che Berlino tenta ancora di ignorare, sperando su un accordo in extremis, mentre Parigi è certamente più preoccupata, visto che l’uscita del Regno Unito dal consesso europeo segnerebbe un argomento fortissimo per la forte candidatura antieuropeista della Le Pen.
“La Brexit però non sarebbe un danno assoluto per l’Europa – spiega l’economista Nino Galloni – e anzi potrebbe persino giovare per correggere frizioni come quelle che stiamo vedendo in questi giorni tra la Commissione e l’Italia”. Un incentivo a riflettere, insomma. “Se il Regno Unito si allontanasse dall’Unione europea – continua Galloni – nessun Paese membro potrebbero più sottrarsi a una valutazione di cosa è diventata questa Unione e soprattutto di come può finire”.    Per quanto riguarda, invece, le inevitabili ripercussioni economiche in seguito a una eventuale vittoria del “no” britannico, c’è meno da preoccuparsi.

TROPPE AMBIGUITÀ
“Londra – spiega Galloni – non avendo adottato l’euro, non ha di che preoccuparsi. Anzi, teoricamente, l’euro dovrebbe svalutarsi e, così, l’Europa potrebbe persino trarne un vantaggio’’. Il riferimento è a uno dei maggiori problemi recenti dell’economia continentale, che ha sofferto per l’eccessiva forza della moneta europea soprattutto rispetto al dollaro. Ma c’è di più. Secondo Galloni, infine, un eventuale allontanamento del Regno Unito dall’Europa, intesa come istituzione, potrebbe costringere la Gran Bretagna ad abbandonare l’atteggiamento ambiguo tenuto negli ultimi decenni sia verso i mercati europei, sia verso quelli nord americani, verso i quali Londra sarà costretta a riavvicinarsi maggiormente.

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