La Consulta rimette in gioco i cattivi amministratori. Svuotano le casse regionali? La Corte Costituzionale li salva

di Vittorio Pezzuto

Gli amministratori pubblici fanno festa. Potranno infatti sperperare denaro pubblico, mandare in default Regioni e Province, restare irresponsabili (se non di fronte all’oscillante e distratto tribunale elettorale) per i dissesti finanziari prodotti nel corso del loro mandato e proseguire indisturbati la loro carriera politica.
Con la sentenza n. 219 emessa lo scorso 16 luglio e finora ignorata dalla stampa, la Consulta ha infatti accolto gran parte dei numerosi ricorsi presentati da diverse regioni ordinarie (Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Campania e Calabria), da tutte le regioni a statuto speciale nonché dalle province autonome di Trento e Bolzano contro il decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 149 (“Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni”), salutato a suo tempo come un tentativo efficace di riportare rigore e responsabilità nell’amministrazione della cosa pubblica, soprattutto in ambito sanitario. Peccato che queste lodevoli intenzioni siano state tradotte in norme che attribuivano un eccesso di potere alla Corte dei Conti (che da organo di controllo rischiava di diventare giurisdizionale e ‘politico’) e che attentavano in maniera significativa al principio dell’autonomia regionale.

Nessun obbligo di relazione
È caduto ad esempio (per eccesso di delega, avendo il Governo scavalcato i paletti fissati in materia dal Parlamento al momento dell’approvazione della legge delega) l’obbligo della presentazione di una relazione di fine legislatura sottoscritta dal presidente della Giunta regionale, certificata dagli organi di controllo interno e da trasmettersi al governo nazionale nonché alla sezione regionale della Corte dei Conti. Questa doveva contenere la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte e indicare tra l’altro: lo stato certificato del bilancio regionale; eventuali carenze riscontrate negli enti sottoposti al controllo della Regione nonché degli enti del servizio sanitario regionale con l’indicazione delle azioni avviate per porvi rimedio; eventuali iniziative decise per contenere la spesa, con particolare riguardo a quella sanitaria, nonché lo stato del percorso di convergenza ai costi standard affiancato da indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi.
Continueremo quindi ad assistere allo stucchevole spettacolo di un nuovo amministratore che accusa il predecessore di buchi di bilancio mascherati, con quest’ultimo che invoca a sua difesa il dissesto a suo tempo ereditato.

Consigli regionali salvi
I giudici della Consulta hanno altresì dichiarato incostituzionale la misura draconiana dello scioglimento del Consiglio regionale e della rimozione del presidente della Giunta per responsabilità politica qualora la Corte dei conti abbia accertato dolo o colpa grave nel dissesto finanziario della Regione. E conseguentemente hanno fatto decadere la norma che prevedeva per i successivi 10 anni l’incandidabilità del governatore a cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo. La Corte ha infatti ritenuto che tale potere sanzionatorio colpirebbe la persona fisica del Presidente della Giunta non già in quanto organo di governo della Regione, ma nella veste di commissario ad acta nominato dal Consiglio dei ministri per attuare il piano di rientro dal disavanzo sanitario. Inoltre tale rimozione sarebbe preceduta da un procedimento della Corte dei conti, di cui «in modo manifestamente irragionevole» non sono specificati la natura e i tempi, al tal punto tanto che «potrebbe protrarsi così a lungo da generare uno stato di grave incertezza e di delegittimazione degli organi costituzionali della Regione».
È stata tra l’altro abolita anche l’estensione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome delle norme che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, prevedono misure severe in termini di finanza pubblica: tra queste l’impossibilità di ricorrere all’indebitamento per investimenti, il blocco delle assunzioni di personale, la riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza del Presidente e degli assessori. L’autonomia di questi enti è stata così salvata, molto meno le tasche dei loro amministrati.