La crisi politica paralizza anche gli Usa. A rischio 700 mila lavoratori

di Fabrizio Gentile

Come preannunciato nel corso del fine settimana dai leader democratici, il Senato ha respinto e rimandato alla Camera il budget, approvato dai repubblicani, che avrebbe finanziato le attività del Governo fino a metà novembre, evitando in questo modo lo “shutdown”, la chiusura parziale delle agenzie federali, ma avrebbe anche posticipato di un anno l’applicazione dell’Obamacare, la riforma della sanità. Il governo americano è a un passo dalla paralisi. Senza un accordo sul bilancio in Congresso, che ormai avrebbe del miracoloso, alla mezzanotte ora di Washington lo Stato federale non sarà più in grado di pagare gran parte dei servizi pubblici, con almeno 800 mila statali a rischio licenziamento. ‘’Spero ancora che alla fine il Congresso decida di fare la cosa giusta evitando la ‘chiusura’ dello Stato – ha detto ieri Obama – , totalmente evitabile se la Camera approva subito la legge già votata al Senato’’. E’ l’ultimo appello rivolto da Barack Obama ai deputati repubblicani affinché cambino idea. Ma nemmeno lui ci crede: ‘’Lo shutdown avrà un fortissimo impatto reale sulla vita quotidiana di tanti americani. Rimarranno senza stipendio, ma dovranno pagare le bollette e i mutui’’.

Disastro a un passo
Il muro contro muro tra repubblicani e Casa Bianca ha prevalso. Al Senato i repubblicani hanno avanzato una proposta di rinvio di almeno una settimana della questione. Ma Obama ha già fatto sapere in passato che non intende negoziare, non vuole essere ‘ostaggio’ dei veti estremisti posti dal Tea party. Con lo ‘shutdown a scattare sarebbe innanzitutto la fine del finanziamento di tante attività statali considerate “non essenziali”. Una mazzata incredibile al Pil americano, si stima un meno 1,4 se la ‘chiusura’ dovesse durare un mese. Probabile anche un aumento del debito di circa 2 miliardi di dollari e durissimi effetti sulla disoccupazione: sono circa 800mila le persone che potrebbero perdere il loro posto di lavoro nelle prossime settimane. Una crisi che colpirà soprattutto la capitale, Washington, l’area dove c’è la più alta concentrazione di uffici federali. Gli osservatori sono concordi che sarebbe uno ‘tsunami’ per il District of Columbia. Qui lo ‘shutdown’ potrebbe provocare una perdita di 200 milioni di dollari al giorno per le casse dello Stato, e una crisi occupazionale per il 60% dei 377mila ministeriali che lavorano nei palazzi a due passi dalla Casa Bianca, il celebre Federal Triangle. Per non parlare delle conseguenze macroeconomiche al livello mondiale, come ha segnalato esplicitamente Obama, in un momento n cui tutte le economie del pianeta seguivano con speranza i segnali di ripresa che sono venuti dagli States negli ultimi mesi. Ma il clima di lotta all’ultimo sangue sulla riforma sanitaria, la controversa Obamacare, non lascia scampo. Com’è noto la destra repubblicana ha approvato alla Camera, dove ha la maggioranza, una norma per rinviare l’entrata in vigore di un anno della Obamacare, già prevista per il primo ottobre. Legge su cui Obama ha già annunciato il suo veto. A quel punto, a mo’ di rappresaglia, il Grand Old Party intende provocare lo ‘shutdown’.

Repubblicani sott’accusa
Intanto la Cnn ha già fatto un sondaggio su chi sarà incolpato dagli americani per questo disastro, chi perderà il cosiddetto ‘blaming game’. E il responso appare univoco: la maggioranza dei cittadini Usa ritiene che sono i parlamentari repubblicani i principali responsabili del blocco, tanto che arriva a definirli ‘’bambini viziati’’. Dopo la ‘chiusura’ del governo, l’attenzione di tutti sarà rivolta alla prossima data cerchiata in rosso su tutti i calendari degli operatori economici: quel 14 ottobre entro il quale, senza un accordo bipartisan sull’innalzamento del tetto del debito, gli Stati Uniti rischiano addirittura il default, un ‘fallimento tecnico’, le cui conseguenze sarebbero decisamente molto più gravi di quelle di queste ore.