Nel settembre 2024, Giorgia Meloni ribadiva ancora una volta la fine di un’epoca: “È finita la stagione dei bonus”. Una dichiarazione netta, pronunciata con l’intento di marcare una cesura rispetto alle politiche dei governi precedenti, accusati di distribuire sussidi a pioggia, senza visione sistemica. Eppure, oggi, lo stesso governo annuncia di voler “rendere strutturale il bonus elettrodomestici”. La retorica della discontinuità si è scontrata con l’ossatura stessa della legislatura. Perché la stagione dei bonus non è mai finita: ha solo cambiato linguaggio, target e finalità politiche.
Bonus vecchi, nuovi, trasformati
Secondo l’analisi dei testi di legge e delle manovre economiche, l’esecutivo ha confermato e spesso ampliato molti degli strumenti preesistenti, introducendone di nuovi. Il bonus elettrodomestici, fiore all’occhiello del 2025, è emblematico: 30% di sconto per l’acquisto di prodotti ad alta efficienza (fino a 200 euro), con vincoli precisi su classe energetica e produzione in Europa. La misura è finanziata con 50 milioni di euro e dichiaratamente orientata a sostenere la “transizione ecologica” e il “made in Italy”.
Non è l’unico. Con il bonus “nuovi nati” (1.000 euro una tantum per ogni figlio, Isee sotto i 40.000 euro), il fondo Dote Famiglia (30 milioni per attività extrascolastiche in famiglie con Isee basso), e il rifinanziamento del fondo per la morosità incolpevole, il governo ha delineato un ecosistema di incentivi che si rivolge a precisi bacini elettorali: famiglie numerose, giovani, lavoratori a basso reddito.
A queste si aggiungono agevolazioni confermate e potenziate rispetto al passato: il bonus asilo nido sale a 3.600 euro annui, esteso anche a nuclei senza primogeniti; il bonus psicologo è stato reso “strutturale” (dal 2028), con un aumento dei fondi a 9,5 milioni nel 2025 (erano 5 milioni nel 2023, 25 milioni nel 2022). La “Carta Dedicata a te” è stata rifinanziata e rafforzata, portando il contributo per famiglie con Isee fino a 15.000 euro a 500 euro annui. Anche il bonus carburante (fino a 200 euro) è stato mantenuto, nonostante fosse nato come misura temporanea nel 2022.
Contraddizioni programmatiche
È difficile conciliare questa proliferazione con la promessa di archiviare la stagione delle mance. L’unica differenza è nella semantica: le nuove misure si chiamano “carte”, “contributi”, “doti”, ma funzionano con le stesse logiche dei bonus tanto criticati. In molti casi, sono addirittura una loro evoluzione più mirata: il bonus cultura universale (18app) è stato abolito e sostituito da due carte separate (cultura e merito), legate a Isee o voti scolastici. Il bonus trasporti è confluito nella carta sociale. Il superbonus è stato definanziato, ma i bonus edilizi minori – come quello per le ristrutturazioni – sono rimasti, seppur ridotti.
Il paradosso è che alcune di queste misure erano state esplicitamente contestate quando il centrodestra era all’opposizione. La Lega aveva bollato il bonus affitti come “assistenzialismo”. Fratelli d’Italia aveva denunciato il “sussidiarismo senza visione” del reddito di cittadinanza, per poi mantenerne una forma riformulata (l’Assegno di Inclusione) e affiancarlo ad altre agevolazioni settoriali. Anche il bonus bebè, ritenuto troppo generico durante la campagna elettorale, è stato riformulato e rilanciato nel 2025.
Una politica fiscale mascherata
Il ricorso al termine “strutturale” serve da foglia di fico. Il bonus elettrodomestici, come la carta per i nuovi nati, sono finanziati solo per un anno. Altre misure dipendono da coperture da rinnovare annualmente. La strutturalità, più che un fatto, è un’intenzione politica: si promette di stabilizzare ciò che resta precario nei numeri e nei bilanci.
L’operazione è chiara: dismettere i bonus “degli altri”, presentati come sprechi o “truffe” (come nel caso del Superbonus), per reindirizzare la spesa verso strumenti compatibili con la narrazione del governo. È un pragmatismo selettivo, che conserva la stessa logica di micro-incentivi ma ne cambia i connotati simbolici. Con l’aggiunta, fondamentale, di una regia più centralizzata e meno redistributiva.
La coerenza è un’altra cosa
Nella sostanza, la stagione dei bonus non è finita: è solo stata adattata. A cambiare non sono le fondamenta dello strumento, ma i destinatari e l’ideologia di riferimento. La promessa di Meloni si è sgonfiata di fronte alla necessità di dare risposte immediate, al di fuori di una riforma fiscale vera e compiuta. Il risultato è un’Italia ancora una volta affidata ai sussidi temporanei, incasellata in un sistema di aiuti che vive di proroghe, fondi una tantum e strategie comunicative. Una stagione infinita, malgrado gli annunci.