La cultura del riciclo non arretra. Ma sulla plastica servono norme nuove. Parla il presidente del Corepla, Giorgio Quagliuolo: L’Italia è tra i Paesi virtuosi nel recupero degli imballaggi

Parla il presidente del Corepla, Giorgio Quagliuolo: L'Italia è tra i Paesi virtuosi nel recupero degli imballaggi.

Dal carbone alle trivelle, la sete di energia provocata dalla guerra ucraina sta frenando la transizione ecologica, ma non la cultura del riciclo. Anzi, adesso c’è ancora più bisogno di riciclare e abbattere in questo modo l’inquinamento. “Perciò serve realizzare alcune condizioni, soprattutto sul piano normativo”, spiega a La Notizia il presidente di Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, Giorgio Quagliuolo.

“La plastica e gli imballaggi – ricorda – hanno imboccato da tempo una direzione Green, sin dal decreto Ronchi del ’98 che diede vita al sistema Conai e dei consorzi di filiera, avviando il concetto di economia circolare prima ancora che questo stesso termine venisse coniato”.

A tanti anni di distanza che risultati raccogliamo?
“Ogni cosa si può sempre migliorare, ma l’Italia è in una situazione che paragonata ai Paesi partener europei è di eccellenza”.

Una criticità?
“Gli impianti di selezione delle plastiche sono efficienti e riciclano il 70-75% di quello che entra, ma abbiamo anche impianti che si fermano al 40%. Sicuramente un nostro obiettivo è spingere affinché tutti gli impianti siano più efficienti, migliorando la performance complessiva”.

E possiamo essere soddisfatti di quanto si ricicla?
“Sul riciclo non si torna indietro: si può andare solo avanti. E al di là dei numeri imponenti su quanto già oggi ricicliamo, pensiamo al futuro, puntando a recuperare tutti i prodotti in plastica all’interno di una filiera del riciclo. Qui oggi abbiamo settori più evoluti, come le costruzioni o l’automotive, ma in altri non si ricicla ancora quasi nulla”.

Che fine fanno tutta la plastica e gli imballaggi che sfuggono al riciclo? Sembra esserci un buco nero…
“Più che di buco, parlerei di quantità fisiologiche di materiali plastici che non possiamo riciclare per mancanza delle necessarie tecnologie”.

Già oggi però si può recuperare molto, come nel caso del Css, il combustibile solido secondario.
“Un materiale utile nelle costruzioni al posto di altri enormemente più inquinanti a base di petrolio e carbone essiccato, che i cementifici bruciano con emissioni altissime. Ma l’utilizzo del Css, pur meno impattante, è limitato al 10% di quanto si brucia. Così, per questo contingentamento ne portiamo molto all’estero, e dobbiamo pure pagare per farlo. E gli esempi di quanto inquinamento possiamo evitare solo alimentando la cultura del riciclo e adeguando le nostre norme è lungo. Pensiamo solo a quanto coke siderurgico si può risparmiare utilizzando il prodotto di materiali riciclati nelle acciaierie, con benefici che non c’è bisogno di pensare a Taranto per afferrare”.

Riciclare un imballaggio non è sempre facile per il consumatore finale…
“È vero: ci sono imballaggi facilmente riciclabili e buste che si fa fatica a capire di che materiale sono fatte. Ma in genere i consumatori sono più attenti di una volta nel cercare il simbolo che spiega tutto nella confezione”.

Allora che altro serve per aumentare il riciclo?
“Qui entra in gioco il legislatore. Un passaggio fondamentale è regolare la procedura endowed dei materiali, che determina la fine dello stato di rifiuto per farlo diventare un nuovo prodotto. Spiegato nel modo più semplice, significa che in questo modo sarà più facile commercializzare tutta una serie di prodotti riciclati a base di plastiche miscelate, che oggi hanno poco mercato, o non ce l’hanno affatto. Perché se c’è una cosa che va scongiurata è riempire i magazzini di materiali riciclati che poi però non possono essere rimessi in circolo”.

Non ci sono precise direttive europee?
“Le direttive devono essere applicate da 27 Paesi, che su questioni così tecniche e impattanti sull’industria tendono spesso a marciare in ordine sparso”.

Ci sono anche casi virtuosi, come la legge italiana salva-mare.
“Senz’altro. Ma la plastica che finisce a mare non c’è andata camminando sulle proprie gambe. Per questo come Corepla abbiamo fatto tantissime campagne di sensibilizzazione, a partire dalle scuole. Perché niente può essere più amico dell’Ambiente di una maggiore coscienza civica e di un’abitudine responsabile della plastica”.