La farsa dei cacciatori di teste

di Maurizio Grosso

Pagati, anche profumatamente, ma praticamente inutilizzati. La domanda che in queste ore rimbomba dalle parti di via XX Settembre, sede del ministero dell’economia, è la seguente: ma a che servono i cacciatori di teste? Selezionati all’epoca dall’allora ministro Fabrizio Saccomanni, i cosiddetti “head hunter” avrebbero dovuto individuare rose di manager dai quali pescare in occasione delle nomine di di Stato. Il tutto in ossequio ai principi di trasparenza e meritocrazia, troppo spesso dimenticati in Italia.Peccato che anche in quest’ultima occasione, che ha portato ai rinnovi dei cda di società come Eni, Enel, Poste e Finmeccanica, il lavoro dei cacciatori di teste sia stato pressoché inutile. Sono del resto gli stessi ambienti del premier, matteo Renzi, ad aver fatto trapelare nei giorni scorsi che l’ex sindaco di Firenze tutto ha fatto fuorché ispirarsi al lavoro dei due cacciatori di teste pagati dal Tesoro. Che poi sono Spencer Stuart e Korn Ferry.

Le scelte
Del resto è sin troppo complicato credere che profili come quello di Emma Marcegaglia, nuovo presidente dell’Eni, e Luisa Todini, nuovo presidente delle Poste, siano stati scelti dagli head hunter dopo una lunga selezione. E’ ovvio che si tratta di scelte fatte per soddisfare varie istanze, imprenditoriali e politiche. Al massimo i cacciatori di teste potranno aver fatto i nomi di qualche amministratore delegato (Claudio Descalzi all’Eni, Francesco Caio a Poste o Mauro Moretti a Finmeccanica). Ma anche in questo caso i dubbi sono più che legittimi.

Il precedente
Del resto l’inutilità degli head hunter si era già sufficientemente palesata in occasione dei precedenti rinnovi dell’estate 2013. In quei mesi il Tesoro ha proceduto a una selva di conferme: il dalemiano Domenico Arcuri e il berlusconiano Giancarlo Innocenzi nei ruoli di ad e presidente di Invitalia; l’intramontabile Pietro Ciucci al vertice dell’Anas; il sempreverde Lamberto Cardia e Mauro Moretti come presidente e ad di Ferrovie (quest’ultimo nel frattempo nominato in Finmeccanica). Alla fine di giugno, poi, erano stati confermati ai vertici di Sace, la società che assicura i crediti all’export, il presidente Giovanni Castellaneta e l’ad Alessandro Castellano. Situazione simile in Fincantieri, dove l’intramontabile Giuseppe Bono ha strappato l’ennesimo mandato. Insomma, per la direttiva firmata lo il precedente 24 giugno dal ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, l’incidenza sulle operazioni dei mesi successivi è stata pressoché nulla.

La posizione del Tesoro
Il dicastero di via XX Settembre, sollecitato all’epoca da La Notizia (vedi il numero del 28 agosto 2013), fornì la sua spiegazione. Alla domanda se i cacciatori di teste fossero intervenuti nei casi di Invitalia, Anas, Sace e Fs, come prescritto dalla direttiva, il ministero rispose che “sia il dipartimento del Tesoro, con il supporto dei propri advisor, che il Comitato di garanzia hanno preso atto della volontà politica di riconferma del management in scadenza”. In più, aggiunse la risposta, la volontà politica in questione è stata “espressa dai ministri vigilanti e supportata da motivazioni connesse anche ai positivi risultati raggiunti nei precedenti mandati”. Ma la conclusione, così terminava la risposta, è che “non si è proceduto a effettuare la selezione tra possibili candidati diversi”. E se lo dice anche il ministero.