La Giustizia non è uguale per tutti

di Vittorio Pezzuto

Anche stavolta la toppa (politica) è stata peggiore del buco (istituzionale). Perché ben difficilmente la bocciatura della mozione di sfiducia individuale al ministro della Giustizia, presentata dai parlamentari grillini, può essere archiviata come una vittoria di Anna Maria Cancellieri e di quanti pervicacemente l’hanno difesa. A partire da Giorgio Napolitano, un presidente della Repubblica che da tempo si muove fuori dai binari costituzionali e che ieri ha festeggiato la classica vittoria di Pirro. Le sue ripetute ed esplicite dichiarazioni a favore del Guardasigilli (fino a poco tempo fa ritenuta un’autorevole candidata alla sua successione) costituiscono un precedente di cui avremmo fatto volentieri a meno. Anche perché stridono alquanto con il doveroso silenzio osservato a suo tempo nella vicenda che coinvolse il ministro Josefa Idem, la pluripremiata canoista rovesciata fuoribordo da una irregolarità fiscale. Non è un caso che per la prima volta sia trapelata in casa Pd un’esplicita insofferenza nei suoi confronti. Obbligati a confermare obtorto collo la fiducia alla Cancellieri, i deputati democrat sanno di aver perso la faccia di fronte a iscritti ed elettori. Gli unici che sotto sotto possono consolarsi sono gli alfieri di Matteo Renzi: grazie all’appoggio del suo nuovo house organ la Repubblica, il sindaco di Firenze sa di avere comunque incassato un altro punto vincente nella sua sotterranea competizione interna con Enrico Letta. Quest’ultimo non ne esce bene, e ringrazi per l’eufemismo. Questo vecchio democristiano assomiglia sempre di più alla versione sghemba di un primo ministro della Repubblica presidenziale francese: un semplice portaordini dell’inquilino del Quirinale, privo di autonoma caratura politica. Ai suoi compagni di partito ha intimato a brutto muso di non fare scherzi, pena l’obbligatoria caduta di tutto l’esecutivo. Qualcuno avrebbe dovuto ricordargli che il ministro della Giustizia Filippo Mancuso venne sfiduciato dal Parlamento nella seduta il 19 ottobre 1995, senza apprezzabili conseguenze sulla tenuta dell’allora governo presieduto da Lamberto Dini. Il presidente del Consiglio ha poi voluto strafare, annunciando la conferma della fiducia al suo ministro a meno che questa non venisse formalmente indagata. Ha quindi scelto di appiattire il principio della responsabilità politica (governato dal senso di opportunità) su quello della responsabilità penale individuale (governato dalla magistratura). Ma così facendo ha percorso a ruzzoloni il pendio scosceso che ci sta portando a una Repubblica giudiziaria che di volta in volta definisce tempi e modi dell’azione di governo. Col risultato che sono ormai i giudici a imporre le regole del gioco e non gli eletti dal popolo a fissare i paletti per l’attività dell’ordine giudiziario. Con queste premesse, resta allora da chiedersi come si muoverebbe Letta se nei prossimi giorni la Cancellieri ri-fiduciata dovesse restare formalmente invischiata nell’inchiesta. Il voto di ieri ci consegna l’istantanea di un governo eterodiretto dal Quirinale e formato da ministri ormai largamente minoritari all’interno degli stessi partiti che lo sostengono. Ridotti a meri oleogrammi del potere, non rappresentano il presente ma sono ormai scaduti a emblematici esponenti di un passato prossimo che verrà presto rimosso. Se infatti la componente piddina appare del tutto slegata dal partito che presto sarà di Renzi, quella alfaniana sconta l’assenza di un credibile puntello elettorale. Restano tutti aggrappati al loro posto semplicemente perché altrimenti non saprebbero dove andare. Peggio di loro sta soltanto la stessa Cancellieri, che da ieri è per tutti un ministro azzoppato. Brutta storia. Ha minacciato di andarsene se non avesse ottenuto una fiducia piena dal Parlamento. Così non è stato ma lei ora farà finta di nulla. Viene da chiedersi con quale autorevolezza potrà d’ora in poi espletare il suo difficile mandato istituzionale. Anche perché provvedimenti delicati come amnistia e indulto, per essere approvati dalle Camere, necessitano dell’immacolata credibilità politica del proponente. Non è questo il caso.