La guerra presenta il conto. Buttati in due anni mille miliardi in armi

L’anno scorso il volume d’affari del settore delle armi da guerra è stato di 2,2 miliardi, pari al 2,2% del Pil mondiale.

La guerra presenta il conto. Buttati in due anni mille miliardi in armi

La guerra? Più di 959 miliardi di dollari vengono spesi dalle istituzioni finanziarie nel mondo per sostenere la produzione e il commercio di armi. Di questi quasi mezzo trilione di dollari – più della metà dell’investimento totale stimato nel settore – sono forniti dagli Usa mentre 79 miliardi provengono dai primi 10 investitori europei.

L’anno scorso il volume d’affari del settore delle armi da guerra è stato di 2,2 miliardi, pari al 2,2% del Pil mondiale

E le banche? Le 15 maggiori banche europee investono in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro. Sono i numeri del rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato da Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), realizzato dalla Merian Research, società di consulenza specializzata in tematiche sociali e ambientali. Si scopre così che l’anno scorso, nel 2023, la difesa è cresciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale.

Le banche, come tutto il settore finanziario, la fanno da padrone sostenendo l’industria della difesa con almeno 1 trilione di dollari, cifra probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, perché non esiste un database ufficiale che raccolga tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi di tutte le istituzioni bancarie e finanziarie del mondo nel settore degli armamenti. “Nonostante gli scarsi dati disponibili e la scarsa trasparenza in questo campo, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari”, spiega Mauro Meggiolaro di Merian Research che ha curato il rapporto.

Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023 ha fatto salire alle stelle il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi. Un’analisi del Financial Times ha mostrato che il portafoglio ordini per nuovi armamenti ha raggiunto livelli record nel 2022 e nella prima metà del 2023. La spesa pubblica sostenuta ha stimolato l’interesse degli investitori nel settore: il benchmark globale di Msci (società Usa che fornisce servizi finanziari) per i titoli del settore è aumentato del 25% nel 2023, mentre l’indice azionario europeo del settore aerospaziale e della difesa, Stoxx, è aumentato di oltre il 50% nello stesso periodo.

Un F-35 costa come 3.244 posti in terapia intensiva. E un sottomarino quanto 9.180 ambulanze

Per avere idea delle proporzioni dei costi delle guerre l’International Peace Bureau ha ridotto il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari: una fregata multiruolo europea (Fremm) vale lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media dei paesi Ocse), un aereo da caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva e un sottomarino nucleare di classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. La metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate (oltre 2 miliardi) sarebbe sufficiente per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra.

Durante l’incontro della Global Alliance for Banking on Values è stato presentato il Manifesto per una finanza di pace. “Condanniamo – scrivono le 71 banche aderenti – fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga. La risoluzione duratura dei conflitti può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e una collaborazione sincera, come mezzi per costruire la fiducia che sottende alla pace. Per questo, invitiamo l’industria finanziaria a smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi, incoraggiamo le istituzioni a introdurre o ampliare politiche esistenti che limitino il finanziamento all’industria delle armi e chiediamo di divulgarle in modo trasparente”.