La Sveglia

La Handala sfida Israele. E anche la nostra indifferenza

La Handala è salpata da Siracusa. Non è una notizia di cronaca navale ma un gesto politico. Porta a bordo aiuti umanitari e civili disarmati, non rappresenta governi ma persone. La sua rotta è Gaza, il suo obiettivo è rompere l’assedio. In mare aperto, laddove il diritto internazionale dovrebbe essere sovrano, Israele ha già sequestrato una nave della Freedom Flotilla, la Madleen, deportando l’equipaggio. Oggi si replica. Con lo stesso carico: cibo, medicine, solidarietà. E con lo stesso rischio: essere rapiti, interrogati, maltrattati.

È la risposta della società civile dove le istituzioni tacciono. Dopo la rottura del cessate il fuoco del 18 marzo, Israele ha ucciso oltre 6.000 palestinesi e ne ha feriti più di 23.000. Ha lasciato morire centinaia di civili in fila ai punti di distribuzione alimentare, gestiti da contractor sotto supervisione statunitense. La Handala salpa contro tutto questo.

Prende il nome da un personaggio a fumetti: un bambino palestinese scalzo, di spalle, che giura di voltarsi solo quando la Palestina sarà libera. È l’infanzia negata che avanza sul mare. È la memoria di Vittorio Arrigoni che torna a respirare tra le onde.

Chi sale a bordo – medici, avvocati, giornalisti, attivisti – lo fa in nome dei bambini di Gaza, più della metà della popolazione. Lo fa per i 50.000 tra loro uccisi o feriti dal 2023, per gli sfollati, per gli orfani.

La Handala è una nave, ma è anche una domanda: quanti civili devono ancora morire prima che la comunità internazionale smetta di giustificare l’ingiustificabile?

Non porta solo aiuti. Porta una verità che galleggia dove gli Stati affondano.