La montagna

di Gaetano Pedullà

L’idea di fare i gufi non ci sfiora nemmeno. E di questi tempi 80 euro in più in busta paga per chi guadagna meno di 1.500 euro al mese non sono da buttar via. Ma dalla montagna di aspettative costruita da Renzi ci si attendeva molto di più. Enfasi da venditore e impatto grafico a parte, le mosse annunciate dal premier non sono il cacciavite di Letta, ma nemmeno la rivoluzione capace di far ripartire il Paese. Non c’è lo strappo sui vincoli europei che avrebbe permesso di mettere subito sul piatto un bel po’ di soldi veri. Si sposta in avanti di altri quattro mesi il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, si rinvia a maggio il taglio dell’Irpef (applicato però solo ai redditi più bassi) e si lasciano al loro destino il ceto medio e i lavoratori autonomi. Un contentino alla Camusso e uno a Squinzi, con il taglietto del 10% all’Irap, il Presidente del Consiglio ha dato qualcosa a tutti, diluendo le poche risorse disponibili. Quattrini sui quali pende già un mistero. Proprio mentre Renzi annunciava il recupero di 7 miliardi dalla spending review solo per quest’anno, il commissario Cottarelli spiegava che al massimo si arriverà a 3 miliardi. Come dire? Se tutte le coperture sono state individuate con lo stesso metro, tra qualche mese una nuova manovra finanziaria non ce la leva nessuno. Intanto la riforma elettorale è passata alla Camera. Al Senato, nonostante si voterà in modo palese, l’iter non è così scontato. A poche settimane dal varo del governo, i mal pancia nella maggioranza sono infatti già fortissimi. Per questo Renzi ha sempre più bisogno del paracadute di Berlusconi. Abbastanza per resistere a Palazzo Chigi e fare anche una riforma epocale – come l’abolizione del bicameralismo perfetto – ma troppo poco per realizzare riforme economiche che possano essere definite veramente di svolta.