La ‘ndrangheta è di casa anche in Piemonte

di Antonio Rossi

Se in Lombardia i giudici hanno da tempo accertato la presenza, gli affari e le infiltrazioni della pubblica amministrazione da parte della ‘ndrangheta, da ieri lo stesso cancro è stato diagnosticato al Piemonte. Il Tribunale di Torino, al termine del maxi processo denominato Minotauro, ha condannato 36 imputati, 23 dei quali ritenuti coinvolti in un’associazione per delinquere di stampo mafioso, ne ha assolti 37, in larga parte quelli che rispondevano di reati minori, e disposto un non luogo a procedere. Condanne per malavitosi e politici, dopo che il pm aveva chiesto un totale di 730 anni di carcere. Enzo Argirò, considerato uno dei capi del Crimine di Torino, struttura della malavita calabrese che si occupa della parte militare, è stato condannato a 21 anni e mezzo di reclusione, Salvatore De Masi, inquadrato come l’anello di congiunzione tra i big della politica nella città della Mole e le ‘ndrine, a 14 anni, l’ex sindaco di Leinì, Nevio Coral, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio, a 10 anni, oltre che all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, a sette anni Bruno Trunfio, ex assessore ai lavori pubblici di Chivasso, e a due anni Antonino Battaglia, ex segretario del Comune di Rivarolo, con interdizione dai pubblici uffici per un anno. Atti, infine, in Procura, per vagliare la posizione dell’eurodeputato Fabrizio Bertot, all’epoca dei fatti sindaco di Rivarolo. Alla lettura della sentenza, ieri pomeriggio, era presente anche il procuratore Giancarlo Caselli, per il quale “l’impianto dell’accusa ha retto abbastanza bene, segno che l’ndrangheta in Piemonte esiste, e tutte le “locali” individuate, ad eccezione della cosiddetta “Bastarda”, hanno visto condannati i loro capi”. Il processo Minotauro è il frutto della principale inchiesta sulla malavita nel Nord Ovest compiuta negli ultimi 15 anni, partita nel 2006 dopo le rivelazioni del pentito Rocco Varacalli.