La ricreazione è finita, Silvio torna al comando

di Filippo Conti

Lo strappo si era già consumato. Da mercoledì sera. Quando, raccontano, Silvio Berlusconi ha preso la decisione di convocare per venerdì pomeriggio l’ufficio di presidenza del Pdl. Motivo: dare il via alla nascita di Forza Italia e azzerare le cariche nel nuovo partito. Ovvero far fuori Angelino Alfano dal posto di comando. Non si è riusciti ad evitarlo, lo strappo. Anche se il segretario, per non finire in minoranza, ha messo in campo una mossa democristiana evitando di presentarsi all’ufficio di presidenza. Non c’è andato nessuno delle 5 o 6 colombe che ne fanno parte. Contro almeno 15 lealisti. Ma alcuni, come Frattini e Cicchitto, non sono nemmeno stati invitati. “Quella di oggi (ieri, ndr) è semplicemente una riunione notarile dove si decide che chi dissente dal capo verrà sbattuto fuori e non farà parte del nuovo partito. Come si poteva partecipare, quando la discussione è azzerata e si è già deciso tutto?” si chiede un deputato pidiellino vicino al vicepremier. Le defezioni, comunque, sono state importanti. A iniziare da Roberto Formigoni, divenuto il pasdaran dei ribelli, fino a Renato Schifani, finalmente costretto a uscire allo scoperto dopo essere stato il regista dell’operazione fiducia al governo il 2 ottobre scorso a Palazzo Madama. “Nel ribadire la mia piena condivisione del passaggio dal Pdl a Forza Italia, più volte e in più sedi manifestata pubblicamente, ritengo opportuno non prendere parte ai lavori pomeridiani dell’Ufficio di Presidenza” spiega il capogruppo in Senato. Fino alla fine Alfano, insieme ai suoi ministri e a qualche colomba sparsa come Maurizio Sacconi, ha tentato di convincere il Cav a rimandare la riunione: “Se vai avanti sai bene che non posso stare dalla tua parte, non posso abbandonare tutti coloro che mi hanno appoggiato nella scelta di sostenere il governo”. Rifiutando la sua offerta di essere il numero due della nuova Forza Italia, a patto però di lasciare Quagliariello&C. al loro destino. Fallito, dunque, il tentativo di Berlusconi di dividere Alfano (che continua a considerare come un figlio) da quelli che invece reputa alla stregua di “traditori”. Ma è fallito anche lo sforzo di Angelino di salvare baracca e burattini: “Io in questa Forza Italia, sotto il giogo dei falchi, non entro. Non posso entrare”, ha ribadito davanti a Berlusconi.

Posizioni sempre più distanti
Che ormai dal 2 ottobre scorso esistano due Pdl era sotto gli occhi di tutti. Le posizioni tra falchi e colombe in queste settimane si sono fatte sempre più distanti. Con scambi e accuse al vetriolo. E la discesa in campo di Raffaele Fitto come anti-Alfano non ha fatto altro che accelerare lo show down. Una Forza Italia berlusconiana da una parte e un Pdl centrista con pezzi di Scelta civica dall’altra. Tra i falchi molti guardano e sorridono, ricordando la triste parabola di Gianfranco Fini. I sondaggi, del resto, fanno paura: un Pdl a guida Alfano è dato al 3 per cento. Molto peggio di Fli nel suo momento di gloria. Ma perché il Cav, dopo aver abbozzato sulla fiducia, è tornato ad armare i fucili? Decisiva, si racconta, è stata la lettera dei 24 senatori in favore del governo. A quel punto il Cav non ci ha visto più. “Mi hanno già umiliato una volta in Aula, vogliono continuare a farlo? Bene, ora gli faccio vedere io, li sbatto fuori tutti”, sarebbe sbottato qualche giorno fa. Poi l’elezione di Rosy Bindi all’Antimafia (“a che servono le larghe intese se poi decidono come vogliono loro?”) e il rinvio a giudizio a Napoli hanno fatto il resto.Alfano, però, formalmente si dà ancora tempo. Nonostante Cicchitto e Formigoni continuino a dirgli di rompere, di anticipare le mosse del Cavaliere, il vicepremier guarda al consiglio nazionale del partito (forse l’8 dicembre?). L’organo, composto da quasi 800 persone, che per regolamento è delegato, a maggioranza dei due terzi, a cambiare nome e statuto. Verdini ha già iniziato a chiamare uno a uno i componenti. Alfano inizia oggi. L’obbiettivo, per lui quasi impossibile, è arrivare a 540 membri e mettere in minoranza il Cavaliere. Il divorzio, intanto, tra i due è consumato: resta solo da decidere chi cambia casa e chi paga gli alimenti.