La Sveglia

La rotta turca non nasce a caso

La “rotta turca”, di cui tutti ora parlano, è la rotta che cresce di più. Ecco come Erdogan usa i migranti come arma di pressione politica.

La rotta turca non nasce a caso

Da noi accade così: solo quando i corpi vengono vomitati sulle nostre spiagge e insozzano i tappeti delle cronache locali si decide di aprire le cartine e capire cosa accade qualche metro più in là del nostro palmo di naso. La “rotta turca”, o rotta jonica, di cui tutti ora parlano è la rotta che cresce di più. Le rotte che disegnano la speranza di chi si modificano in base alle leggi e al clima geopolitico. La politica si illude di chiuderle e invece quelli trovano (e troveranno sempre) un’altra strada perché la voglia di sopravvivere è come un’infiltrazione, non si ferma se non si risolvono la fame, la siccità e il piombo.

La “rotta turca”, di cui tutti ora parlano, è la rotta che cresce di più. Ecco come Erdogan usa i migranti come arma di pressione politica

La chiusura della rotta orientale, desertificata dall’inferno della Bosnia Erzegovina e dai calci e manganelli della polizia croata, ha spinto i migranti a cercare l’Italia dalla costa calabrese imbarcandosi dalla costa turca. Quando nel febbraio del 2020 il presidente turco Erdogan ha usato i migranti come arma di pressione politica contro l’Europa, spingendoli a pressare sui confini della Grecia, è cambiato tutto.

L’accordo tra Turchia e Unione europea per la gestione dei flussi migratori del 2016 (l’ennesimo appalto delle frontiere in cambio di soldi mentre Bruxelles chiudeva gli occhi di fronte una catastrofe umanitaria) ha ridisegnato la rotta, dopo gli otto miliardi di euro europei entrati nelle tasche del sultano. Il viaggio dalle coste turche alla Calabria costa quasi 10mila dollari per gli adulti 4,500 dollari per i bambini.

Viaggi di “prima classe”, li chiamano una certa narrazione che fa riferimento all’utilizzo spesso di barche a vela. Le testimonianze dicono tutt’altro: la mancanza di cibo, di aria, la disidratazione rendono il mare un’odissea consumante. Alcune persone raccontano di essersi nutriti per giorni solo con acqua di mare mescolata con zucchero.

Afghani, iracheni e curdi sono coloro che utilizzano di più la rotta. Gli scafisti sono spesso croati che si danno alla fuga con moto d’acqua prima di attraccare. Ovviamente non manca la ‘Ndrangheta che concede le coste. L’attività rende: i contrabbandieri possono guadagnare circa 500mila euro (per viaggio su una barca rubata che costa circa 100.000 euro). I numeri sono quelli, per ora, che ha fornito l’Unhcr: il numero complessivo di arrivi via mare in Italia nel 2021 è salito fino a 59mila persone, rispetto ai 32mila dell’anno precedente.

La rotta calabrese ha registrato 9.687 arrivi rispetto ai 2.507 dell’intero 2020

In particolare, la rotta calabrese ha registrato 9.687 arrivi rispetto ai 2.507 dell’intero 2020. Con un numero importante di nuclei familiari rispetto ai viaggiatori singoli. Si arriva preferibilmente in Calabria ma anche i porti di Bari e Ancona (con rare partenze dall’Albania) sono stati interessati dagli arrivi. Di recente dalle barche a vela si è passati a barchini malconci del tutto simili a quelli usati sulla rotta libica oppure vecchi pescherecci talmente stracarichi che sembrano affondare da un momento all’altro. E infatti affondano.

La strage di Cutro è solo un lancinante tassello di una puzzle più ampio. L’accoglienza? “L’accoglienza dei migranti dipende solo dallo straordinario impegno dei nostri sindaci”, ha spiegato il presidente della Regione Calabria. A terra c’è solo il Cara di Isola di Capo Rizzuto sempre strapieno con gli arrivi a Lampedusa e una tecnostruttura sul molo di Roccella Jonica allestita dalla Croce Rossa. E, ogni tanto, a terra inevitabilmente arrivano anche i corpi.

 

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