La Sinistra tiene in Toscana. È qui la vera partita delle prossime regionali. La leghista Ceccardi ancora 4 punti dietro al dem Giani

La scadenza elettorale del 20 e 21 settembre si avvicina, al voto sono chiamate sei regioni, ma ancora una volta la vera partita si gioca in un feudo rosso: la Toscana. È qui che si deciderà in buona parte il bilancio di questa tornata, sia per la tenuta del Pd – o meglio del suo segretario Nicola Zingaretti – sia per le ambizioni di Matteo Salvini che, memore della cocente sconfitta in Emilia Romagna, stavolta ha cercato di non personalizzare eccessivamente la campagna elettorale, sebbene non siano mancate nei suoi comizi intemerate contro il governo Conte che in caso di débacle “dovrebbe andare a casa” e soprattutto ha lasciato più spazio alla candidata del centrodestra, Susanna Ceccardi, più di quanto ne abbia mai lasciato alla contendente di Stefano Bonaccini lo scorso gennaio, Lucia Borgonzoni. Entrambe pasionarie leghiste, entrambe apprezzatissime e lanciatissime dal loro leader ma con una differenza sostanziale.

La ex sindaca di Cascina è stata la prima esponente del Carroccio che nella regione – fortino della sinistra è riuscita a consegnare al suo partito un comune. Che ha amministrato bene. La giovane donna – classe 1987 – ha talento e grinta. E il candidato del centrosinistra, Eugenio Giani (nella foto), non è Bonaccini, che non a caso viene indicato da più parti come possibile futuro segretario dem. Uno che a capacità amministrative e fiuto politico, non scherza insomma. Ma Giani non è neanche l’attuale governatore Enrico Rossi che, pur avendo dato prova di una buona gestione dell’emergenza Covid negli ultimi mesi, negli anni (due mandati consecutivi) si è soprattutto distinto nella difesa a spada tratta degli immigrati, vantando un “modello Toscana” in tema di “accoglienza e integrazione”.

Memorabile la sua foto del 2014 abbracciato ai “suoi amici” rom. Tutta roba chiaramente cavalcata dalla Lega e da FdI, che non a caso negli anni hanno espugnato ben altre città rispetto a Cascina, da Pisa a Grosseto, da Siena (complice la brutta storia Monte dei Paschi) a Pistoia. Ma a Firenze, Prato e rispettive province, numericamente rilevanti ovviamente anche in ottica di elezioni regionali, il Pd resiste. Stupisce che taluni sondaggi riportino percentuali francamente poco credibili, c’è chi addirittura accredita un vantaggio di Giani sulla Ceccardi di appena mezzo punto percentuale, in realtà la forbice è di almeno 4 punti: il candidato sostenuto da Pd e Italia Viva e altre civiche è saldo al 44.5%, la leghista al 40,5% e la candidata del Movimento 5 stelle Irene Galletti ad un non trascurabile 9-10%, con una bella rimonta nelle ultime settimane.

Il sistema elettorale toscano prevede, nel caso che nessuno dei contendenti arrivi al 40%, il ballottaggio. Ma non è questo il caso e soprattutto, quello che vale è la preferenza accordata al candidato: vince chi prende un voto in più, non i voti alle liste dei partiti. È in quest’ottica che il voto disgiunto può fare la differenza. In questo caso molto può fare quello dei simpatizzanti pentastellati (potrebbero votare M5S ma barrando Giani come presidente) e il fatto che Eugenio Giani abbia un profilo che piace non solo alla sinistra ma anche ai cosiddetti moderati. Non a caso la sua sfidante Ceccardi in campagna elettorale ha molto “abbassato” i toni, avvalendosi della consulenza di Daniel Fishman, l’uomo che ha gestito la vincente campagna elettorale di Bonaccini per la presidenza della Regione Emilia Romagna e affidando i sondaggi alla Emg Acqua di Fabrizio Masia. Lo stesso a cui li ha commissionati Bonaccini e di cui si avvale anche Matteo Renzi. Strani incroci.

A gestire le relazioni di Giani con i media nazionali ci pensa invece Jump di Marco Agnoletti (stesso incarico già per Bonaccini). La sfida è dunque aperta, le percentuali di distacco non sono certo bulgare e sulle spalle di Giani (con una carriera politica di oltre trent’anni in Toscana, è bene ricordarlo, non è certo uno che passa di lì per caso) la sinistra si gioca molto. All’allora segretario Pd Walter Veltroni perdere la Sardegna guidata da un governatore di centrosinistra costò la segreteria. Soru battuto, Veltroni dimissionario: “Mi assumo le responsabilità mie e non” disse spiegando la sua decisione irrevocabile di dimettersi da segretario del Pd davanti al coordinamento del partito.