La tassa sugli extraprofitti delle banche è già un flop: l’imposta del governo verso il completo fallimento

Dopo Unicredit, anche Intesa Sanpaolo annuncia che non pagherà la tassa sugli extraprofitti delle banche: vicino l'ennesimo flop del governo.

La tassa sugli extraprofitti delle banche è già un flop: l’imposta del governo verso il completo fallimento

Intesa Sanpaolo segue la linea di Unicredit. E preannuncia il flop della tassa sugli extraprofitti delle banche introdotta dal governo Meloni. Il primo istituto italiano segue l’esempio del secondo gruppo più grande e decide di non pagare la tassa voluta dall’esecutivo. 

Gli istituti, infatti, possono scegliere se versare la tassa o meno: nel secondo caso possono accantonare come riserva non distribuibile un importo maggiorato rispetto alla tassa, pari a 2,5 volte l’imposta, rafforzando in questo modo il patrimonio. E già le prime due banche italiane, quelle da cui il governo poteva sperare in maggiori introiti, hanno deciso di non pagare, optando per l’accantonamento.

Tassa sugli extraprofitti: Intesa Sanpaolo decide di non versarla, Mediobanca la segue

Il cda di Intesa Sanpaolo ha quindi deciso di seguire la strada già intrapresa da Unicredit, optando per un accantonamento del patrimonio di 2,5 volte rispetto a quanto dovuto con l’imposta introdotta dal governo Meloni. 

Quindi l’istituto ha destinato a riserva 2,01 miliardi di euro, ovvero 2,5 volte gli 828 milioni che avrebbe dovuto versare come tassa sugli extraprofitti tra la capogruppo e le sottoposte. 

La stessa decisione è stata presa anche dal cda di Mediobanca, che ha proposto la costituzione di una riserva di utili non distribuibili pari a 210 milioni: anche in questo caso nessun versamento allo Stato.

Rischio flop per l’imposta del governo

L’annacquamento della tassa sugli extraprofitti delle banche sembra quindi portare alla decisione di tutti i maggiori gruppi di non pagare l’imposta, con il rischio per il governo di trovarsi di fronte a un buco di bilancio. Con queste opzioni in campo, infatti, le banche sembrano ritenere più ragionevole accantonare le risorse, anche per tutelarsi dal rischio di azioni di responsabilità da parte degli azionisti. 

A dare l’esempio è stata Unicredit, la prima grande banca a decidere di accantonare 1,1 miliardi invece di pagare la tassa. Poi ha fatto lo stesso Intesa Sanpaolo, per un importo di circa 2 miliardi. E a questo punto sembra praticamente certo che in tanti seguiranno questa strada, ormai già aperta dai big, come dimostrato anche da Mediobanca. Quindi nessun incasso per lo Stato, ma solo un danno d’immagine e anche economico, considerando il crollo in Borsa dei titoli bancari dopo l’annuncio dell’introduzione della tassa in estate.