La Terra dei Fuochi è sempre un inferno

Di Francesca Sironi per l’Espresso

Acerra, Napoli, Casoria, Frattamaggiore. In 24 ore, cinque discariche incendiate, altri cumuli di rifiuti in fiamme, il fumo che arriva in autostrada con gli automobilisti che passano, annaspano e scattano una fotografia: «Qui non riusciamo a respirare», scrivono esasperati su Facebook. La terra dei fuochi non si è spenta. Anzi: «I roghi non sono diminuti. Affatto. Continuano, soprattutto di notte, per evitare di incappare nelle pattuglie dell’Esercito», denuncia Angelo Ferrillo, responsabile della mappa partecipata – e aggiornata – degli incendi di pneumatici e spazzatura in Campania: «E le zone interessate dalle fiamme si sono estese».

«Abito ai piedi del Vesuvio, lontano dalla cosiddetta terra dei fuochi ufficiale, ma anche dalle mie parti dobbiamo respirare così», conferma in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno il giornalista Roberto Russo: «La puzza di diossina abbiamo purtroppo imparato a riconoscerla», aggiunge, raccontando del figlio, che qualche sera prima l’aveva svegliato gridando «Papà, puzza di bruciato!», e continua: «Le notti estive restano il periodo preferito di quelli che appiccano roghi di materiale tossico e liberano tonnellate di diossina nell’aria. Ma chi sono? Oggi, in barba a tutte le promesse di tre ministri per l’Ambiente, non conosciamo ancora i nostri nemici». Che non si fermano: 30 agosto, Ponticelli; 29 agosto, Mondragone, Casal di Principe, Afragola; 28 agosto, Acerra, Giuliano, Scampia; 27 agosto, Nola; 26 agosto, Casoria; 25 agosto, Acerra, Cesa, San Giuliano…

Le Forze Armate, a giugno, dopo tre mesi di azione straordinaria fra i campi avvelenati, vantavano « 7501 persone controllate , di cui 43 fermate e consegnate alla polizia perché sorprese a sversare o abbandonare rifiuti o ancora appiccare fuochi illegali». Anche la prefettura aveva presentato dati rassicuranti sugli interventi dei Vigili del fuoco. Segnali di speranza dopo il blitz di Matteo Renzi, arrivato di persona a dicembre scorso fra gli abitanti assediati dalla monnezza per garantire l’inizio di un nuovo corso. «Se l’estensione e la gravità di questi nuovi, continui, incendi di rifiuti dovesse essere confermata, sarebbe un fatto molto grave», commenta allora Ermete Realacci, parlamentare del Partito Democratico e presidente della Commissione Ambiente alla Camera: «Soprattutto perché i fondi ci sono».

Fa riferimento, in particolare, ai due milioni e mezzo di euro arrivati come risorse straordinarie alla Forestale per avviare un monitoraggio delle fiamme dall’alto; ai 25 milioni di euro investiti per lo screening sanitario dei residenti esposti ai miasmi tossici; e agli strumenti passati alle autorità locali per definire il perimetro delle zolle avvelenate su cui non coltivare più, in modo da garantire la qualità dei pomodori e del latte provenienti dalle altre. «Ma di tutto questo non so qual è lo stato di attuazione», ammette Realacci: «Ci sono due interrogazioni parlamentari a riguardo, dalle cui risposte spero arrivino maggiori informazioni, più trasparenza. Quello che è sicuro è che la task force per la terra dei fuochi è iniziata in ritardo».

L’insufficienza dei controlli, sanitari e ambientali, è uno degli aspetti più dolenti per chi abita a contatto con le nuvole di diossina. «Nonostante i roghi di plastica e immondizia continuino, le centraline per monitorare l’aria disposte dall’Agenzia regionale per l’ambiente sono sempre le stesse: concentrate lontano dalla provincia, dove avviene la maggior parte degli incendi», ricorda Ferrillo. “ Pandora ”, un gruppo di ricerca indipendente composto da studiosi e professori di diverse parti d’Europa, ha riassunto quest’amnesia amministrativa in una mappa, che mostra come ampi sprazzi della regione sfuggano ai filtri dell’Agenzia, lasciando i residenti nell’incertezza sulla qualità dell’aria che respirano, sulla puzza di bruciato che avvertono, sul fumo che vedono al fianco della strada. «È vero, l’attenzione dei controlli è catalizzata soprattutto dall’inceneritore di Acerra», commenta Realacci: «Ed è un bene che lì il monitoraggio sia ferreo, ma sappiamo anche che le maggiori quantità di diossina sono disperse dai materiali misti che bruciano a basse temperature: quello che avviene con la spazzatura data in fiamme».

«È disperante pensare che tutti gli articoli, le denunce, le manifestazioni, le proposte – abbiamo anche offerto di fare volontariamente da sentinelle specializzate dei roghi, ma la prefettura non ci ha ascoltato – non siano serviti a niente», sospira Ferrillo, che lavora alla mappa dei falò di plastica dal 2008. Ora c’è una legge in discussione al Senato per inasprire le pene contro chi incendia l’immondizia. Un primo passo, importante: «Ma più che di testi abbiamo bisogno di forze», conclude Ferrillo: «Di vedere finalmente dei risultati». Gli effetti, insomma, del promesso cambio-verso.