L’abbandono del progetto di trasformazione della Banca Popolare di Milano in una Spa ha affossato il titolo in borsa, che ha perso l’8,93%. E oggi Bonomi spiega i motivi del dietrofront

di Sergio Patti

Quello che ormai sembra l’inevitabile abbandono del progetto di trasformazione della Banca Popolare di Milano in una Spa ha affossato ieri il titolo in Borsa. Entrato con difficoltà agli scambi, il titolo di Piazza Meda ha perso a fine seduta l’8,93%, fermandosi a 0,46 euro. Dopo gli acquisti delle ultime settimane, sulla prospettiva di novità nella governance, la popolare milanese ha sofferto con una serie di report negativi. Equita ha tagliato il giudizio a ‘hold’ e tolto le azioni dal portafoglio principale mentre Exane e Intermonte hanno abbassato la valutazione a ‘neutral’. Un mix di notizie che non potevano non far scattare le vendite. E dire che le azioni della Bpm erano state protagoniste di un significativo rally, arrivato a portare la banca a valere quasi 60 centesimi per azione (58 il massimo del 19 febbraio) contro i minimi storici di settembre quando quotava poco più di 25 cent.

Oggi i dettagli
La parola passa oggi ai protagonisti di questa vicenda. Il consiglio di gestione della Bpm è convocato infatti in mattinata mentre nel pomeriggio toccherà al consiglio di sorveglianza. Il presidente Andrea Bonomi spiegherà le ragioni di questo passo indietro, di fatto riconducibile alla forte opposizione manifestata dai sindacati e dai soci dipendenti. Gli stessi che in occasione dell’ultima assemblea dei soci avevano respinto quasi all’unanimità la proposta, sempre di Bonomi, di introdurre il voto a distanza in assemblea. Non si esclude comunque che oggi il presidente giochi un’altra carta, ovvero quella di esaminare nuove modifiche della governance in modo renderla più efficace sotto certi aspetti. Sulla questione sia Bankitalia che Consob sono in stretto contatto. Va ricordato che il Cdg si riunirà anche martedì prossimo per esaminare la trimestrale.
Al tempo stesso il numero uno di Investindustrial se da una parte modificherà l’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti del 22 giugno, togliendo il punto relativo alla trasformazione in Spa, dall’altra confermerà la volontà di andare avanti col piano da 500 milioni di euro per il rimborso dei Tremonti bond. Un pool di banche si è già impegnato a garanzia della buonuscita dell’operazione.

Voto capitario
La vicenda Bpm ha certamente pesato su un po’ tutto l’andamento deludente del comparto bancario ieri in Borsa. A soffrire soprattutto le banche popolari, che vedono ancora una volta messo in discussione il loro modello mutualistico. Il successo dell’operazione ideata da Bonomi e condivisa dai grandi fondi che lo sostengono aprirebbe una breccia in un comparto che resiste da anni ad attacchi durissimi. Nonostante i conti generalmente in ordine, se non maggiormente performanti rispetto alle banche tradizionali, e nonostante il ruolo universalmente riconosciuto di ultimo grande motore del credito nelle realtà piccole e locali. Mentre le grandi banche infatti continuano a ridurre gli impieghi, le banche più radicate sul territorio – e qui le popolari sono indiscutibilmente le più presenti – non hanno mai smesso di fornire carburante finanziario alle imprese, accompagnandone molte nel cammino di crescita e affermazione sul mercato.

Vecchi e nuovi appetiti
La trasformazione delle banche popolari o di quelle in forma cooperativa in tradizionali Spa consente una maggiore governance degli istituti, svincolati dal limite di quel voto capitario – ogni azionista un voto – che premia i grandi investitori a discapito dei piccoli. Per questo, anche utilizzando il momento di generale ribasso del sistema bancario, si sono create diverse opportunità di ribaltoni societari tra gli istituti popolari. La Bpm diventa perciò capofila e partita simbolo di questa situazione. Un terreno sul quale gli interessi dei sindacati che controllano di fatto da sempre l’Istituto di piazza Meda si sono fusi con gli interessi dei sindacati e dei piccoli azionisti di tutto il sistema delle popolari. Una “guerra” troppo grande per essere persa in una battaglia sola. Da qui, probabilemte, la mossa di Bonomi, di congelare – per non perdere del tutto – la trasformazione in Spa. in attesa di tempi migliori.