Il risiko bancario è entrato nel vivo e le conseguenze potrebbero riguardare da vicino anche molti correntisti. Perché al di là delle operazioni di mercato, c’è da valutare un rischio, sottolineato dalla First Cisl: le fusioni potrebbero ridurre ulteriormente il numero di filiali fisiche degli istituti, lasciando sempre più Comuni senza uno sportello. Ma partiamo dagli ultimi sviluppi del risiko, ovvero l’offerta pubblica di scambio lanciata da Bper per la Banca Popolare di Sondrio. Un’operazione che “non è stata in alcun modo sollecitata né preventivamente concordata”, sottolinea l’istituto valtellinese. L’11 febbraio si riunirà il cda della banca guidata da Mario Alberto Pedranzini per le valutazioni del caso, mentre l’ad di Bper, Gianni Franco Papa, ritiene che l’offerta non sia ostile. Bper ha valutato le azioni di PopSo 9,527 euro l’una, con un premio (ormai superato) del 6,6% sulla chiusura di Borsa. Per ogni azione, i soci della Popolare riceverebbero 1,45 titoli Bper.
Che si sofferma sui punti in comune tra i due istituti: uno su tutti, l’azionista di riferimento che è Unipol per entrambi. Per Bper l’obiettivo è consolidare il suo posizionamento competitivo “come terza banca italiana per asset finanziari totali, depositi e prestiti in Italia, con una quota di mercato pro-forma di circa il 7%”. In più si vuole rafforzare la presenza al Nord Italia. Intanto gli obiettivi fissati dopo questa operazione porterebbero ad aumentare la quota di mercato dei total financial asset dal 6% a 7%, sui depositi dal 5% a 7% e degli impieghi dal 5% a 7%. Con l’acquisizione, Bper prevede di realizzare nel 2027 oltre 7 miliardi di ricavi, con un utile netto al di sopra dei 2 miliardi. Sui mercati l’effetto è quello atteso: Bper perde il 7,49% mentre Popolare Sondrio guadagna il 5,83%, sui nuovi massimi.
La desertificazione rischia di accentuarsi con il risiko bancario
Il risiko, avviato dall’offerta di Unicredit su Bpm e proseguito con quella di Mps per Mediobanca, potrebbe avere un effetto indesiderato, quello definito dalla First Cisl come “desertificazione bancaria”. Quasi la metà dei comuni italiani non ha una filiale bancaria e la situazione potrebbe peggiorare con le fusioni, con il rischio di allargare l’esclusione sociale. Lo scorso anno hanno chiuso 508 sportelli, scendendo sotto quota 20mila filiali (contro un massimo, nel 2008, di 34mila). Un fenomeno che non dipende solo dall’home banking, ritenuto poco diffuso in Italia, ma anche dal declino economico, demografico e sociale di alcuni territori. La previsione è che con le fusioni verranno chiuse più banche. E a preoccupare non è solo il numero dei comuni abbandonati, ma anche le loro dimensioni.