L’areonautica precipita ma il Governo pensa solo agli F-35

di Angelo Perfetti

Una strategia che sembra studiata a tavolino: smembrare pezzo per pezzo le eccellenze in un settore, trasferirle all’estero (da Israele alla Francia), annichilire così il mercato interno e provocare una crisi occupazionale tale da far saltare il sistema economico sociale. Accade così che mentre Parlamento e Governo sono impegnati in una guerra sull’acquisto plurimilionario dei cacciabombardieri F-35, l’ intero comparto aeronautico civile delle manutenzioni sia sull’orlo del fallimento. “Una volta vendevamo tecnici e tecnologia – spiega Massimo Celletti della Filt Cgil – oggi siamo costretti a comprare. I nostri hangar sono vuoti, la capacità produttiva quasi azzerata. Tutto è stato dato all’estero”.

Manutenzioni ko
Nell’aeroporto internazionale “Leonardo Da Vinci” sono state eliminate le manutenzioni pesanti, la revisione della componentistica elettronica e, tra pochissimo, sparirà anche quella della revisione dei carrelli. Resiste ancora, ma tra enormi difficoltà (su 240 dipendenti ben 200 sono in cassa integrazione) la revisione dei motori, comparto che paga anche la minore frequenza di volo che Alitalia ha imposto sulle proprie rotte vista l’insostenibile concorrenza di treni ad alta velocità e voli low cost. Attualmente a fronte di una capacità d’intervento su 40 motori di aereo, l’Alitalia Maintenance System è impegnata solo su 8 pezzi.

I costi aggiuntivi
La politica sembra disinteressarsi di tutto ciò, concentrata a livello governativo sugli investimenti militari e, per quanto riguarda quelli civili, sul raddoppio dell’aeroporto internazionale di Roma-Fiumicino. Centinaia di milioni di euro che saranno spesi senza che il comparto aeronautico nazionale, che ha (o forse sarebbe meglio dire “aveva”) nella manutenzione la sua punta di diamante industriale e occupazionale, ne possa trarre alcun beneficio. Tanto per dare un parametro, dopo aver dato l’intero settore della revisone elettronica in mano ad Air France – che per inciso ora non sembra nemmeno più tanto interessata a un’acquisizione di Alitalia – siamo costretti a pagare cinquantamila euro al giorno di affitto per apparecchiature elettroniche allorché un aeromobile ha bisogno di controlli.

Gli hangar dimenticati
La rappresentazione plastica dell’impoverimento delle competenze italiane sta negli hangar che vengono chiusi, uno dopo l’altro. Oggi come oggi girando per l’aeroporto romano ne troviamo tre con le serrande abbassate; ma quando erano aperte, dentro vi lavoravano cinquecento persone ad hangar, per un indotto economico che da solo contribuiva in maniera significativa al Pil nazionale. Il reparto verniciatura è chiuso da 5 anni, e pensare che ancora oggi i macchinari che ospita sono tencologicamente tra i più avanzati in Europa.

Il paradosso
Questo scenario descrive un settore allo stadio terminale, e invece non è così. L’asset aeroportuale è forse l’unico che, a livello internazionale, è in crescita. Sono le scelte politiche sbagliate che negli anni, nel Belpaese, hanno provocato il disastro. E ancora oggi mentre il Parlamento, il Quirinale e palazzo Chigi si azzuffano sugli F-35, nemmeno una voce si leva per rinvigorire un settore che potrebbe diare fiato a gran parte dell’economia nostrana. E’ un po’ la stessa cosa che accade con i beni culturali piuttosto che con il turismo: abbiamo in mano delle eccelleze ma non sappiamo sfruttarle, e anzi ne provochiamo la rovina.
E allora continuiamo così, facciamoci del male. Via la manutenzione, regaliamo tutto ai francesi o agli israeliani, mettiamo in cassa integrazione i dipendenti e carichiamo anche questo sulle già ultrasofferenti casse dello Stato. Tanto paga Pantalone.
Ma nell’Italia che perde tempo e vive di annunci, anche Pantalone non se la passa più tanto bene. Se c’è qualcuno in Parlamento, batta un colpo.