“Lavoratori poveri con redditi da fame, così si condanna il Paese al declino”. Parla il capogruppo M5S in commissione Finanze, Fenu: “Il Salario minimo è una misura di giustizia sociale”

“Lavoratori poveri con redditi da fame, così si condanna il Paese al declino”. Parla il capogruppo M5S in commissione Finanze, Fenu: “Il Salario minimo è una misura di giustizia sociale”

“Lavoratori poveri con redditi da fame, così si condanna il Paese al declino”. Parla il capogruppo M5S in commissione Finanze, Fenu: “Il Salario minimo è una misura di giustizia sociale”

Se ne parla dopo l’estate. E forse anche più là. La maggioranza ha preso tempo sul salario minimo.

Emiliano Fenu, capogruppo M5S in commissione Finanze della Camera, la sospensiva è un modo per affossarlo?
“Che maggioranza e governo abbiano intenzione di affossarlo lo hanno già dimostrato nei fatti. In commissione Lavoro hanno cercato di escludere qualsiasi possibilità di discussione e dibattito perché non hanno presentato nessun emendamento modificativo della proposta di legge che lo istituisce ma solo uno che la sopprimeva. Poi, per via dei sondaggi, si sono resi conti che anche la stragrande maggioranza degli italiani è favorevole a questa misura di giustizia sociale, su cui siamo anche in ritardo rispetto agli altri paesi Ue, e hanno pensato fosse troppo rischioso dal punto di vista elettorale sopprimere la nostra proposta. La sospensiva è anche un po’ un modo di buttare la palla in tribuna e di rinviare per trovare qualche diversivo poi che faccia dimenticare il salario minimo agli italiani”.

La premier Giorgia Meloni ha aperto al confronto. Vi fidate?
“Credo siano finte aperture le sue. Come possiamo fidarci di una premier che dice che il salario minimo è uno specchietto per le allodole o uno slogan? Questo significa che non ha nessuna intenzione di portarlo avanti. Il problema di fondo, poi, è che nel Def di questo governo, ovvero il più importante documento di programmazione economica, è scritto che bisogna garantire e avere come obiettivo la moderazione salariale. Questo si traduce con un blocco degli stipendi per tre anni, dal momento che il Def vale per il triennio”.

Ritiene che si possa incrinare il fronte unito delle opposizioni su questa battaglia? Carlo Calenda dice che le opposizioni non hanno i numeri, dunque, per non condannare a morte il provvedimento, è necessario il confronto con la maggioranza.
“Non credo, perché a prescindere dalla posizione dei singoli partiti, ormai i cittadini hanno acquisito consapevolezza della necessità di una misura di questo tipo. Gli italiani lo vogliono quindi è difficile che qualche forza politica che lo ha fin qui sostenuto ora si tiri indietro. Ma sul salario minimo mi faccia fare anche un’altra considerazione”.

Prego.
“Il salario minimo è una questione che non riguarda solo il singolo lavoratore, a cui bisogna restituire dignità e a cui consentire non solo di sopravvivere ma anche di vivere del proprio lavoro. Ma riguarda un sistema. Mi spiego meglio. La svalutazione del salario è una strada che è stata intrapresa già più di vent’anni fa, quando, con l’ingresso nell’euro, non abbiamo più potuto svalutare la nostra moneta e qualcuno ha pensato, sbagliando, di poter svalutare il salario, anzi, di svalutare il salario per rendere più competitivo il nostro Paese. La svalutazione del salario la si è fatta attraverso, soprattutto, la precarizzazione del lavoro, e questo cosa ha avuto come effetto? Ha avuto che i lavoratori hanno dovuto accettare salari e condizioni di lavoro peggiori e le imprese, in qualche modo, sono state spinte a licenziare, dal loro punto di vista, nella speranza di minimizzare e di ridurre i costi, perché questo fanno le imprese. Gli unici, i soli, perché spesso ci siamo trovati soli, ad interrompere il circolo vizioso che si è creato tra salario, consumi e produzione industriale (bassi) siamo stati noi del M5S, e non solo con la proposta del salario minimo, ma con il decreto Dignità, che riduceva la possibilità di ricorrere a contratti a termine e stabilizzava il lavoro. E ancora: con il Reddito di cittadinanza, che ha consentito non solo una rete di protezione sociale per tutti, anche per chi un lavoro non ce l’ha, ma ha permesso a milioni di lavoratori di rifiutare condizioni di paga inaccettabili, inadeguate. Il salario minimo allora significa tirare una riga, significa dire ‘ripartiamo da qua’, stabiliamo un minimo sotto il quale i salari non possano andare. Una base da cui rimettersi in cammino con misure che aumentano i salari. Ovvero stabilizzazione del lavoro, con il decreto Dignità, rete di protezione sociale col Reddito di cittadinanza, rilancio economico. Perché la povertà lavorativa e la svalutazione del salario sono state tra le cause principali del declino economico e sociale del nostro Paese”.

La maggioranza vi accusa di esservi svegliati adesso con la proposta contro il lavoro povero. Come replicate?
“Noi già dalla scorsa legislatura avevamo la nostra proposta di legge sul salario minimo depositata alle Camere ma non siamo mai riusciti a farla incardinare perché eravamo soli in questa battaglia, non siamo riusciti mai a trovare l’accordo con nessuna forza politica, non avevamo i numeri per farla andare avanti”.

È vero che il salario minimo affossa la contrattazione collettiva e livella i salari verso il basso?
“È una colossale sciocchezza questa. Nella nostra pdl si dà la priorità alla contrattazione collettiva. Si applicano i contratti leader firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative e sotto a quei contratti, se sono sopra i 9 euro l’ora, non si può scendere. Ma poi è giusto che lo Stato stabilisca un minimo –appunto i 9 euro – sotto cui non si possa andare, dal momento che anche alcuni contratti collettivi nazionali viaggiano a livelli ben inferiori a tale soglia. In altri Paesi dove c’è il salario minimo, gli stipendi sono, peraltro, aumentati”.

L’economista Tito Boeri ritiene che la soglia di 9 euro l’ora sia troppo alta.
“Sarei curioso di sapere quanto guadagna Tito Boeri all’ora. Mi sembrano frasi inaccettabili e classiste. Tutti hanno diritto a una paga e a una vita dignitose”.