Le banche tornano a fare prestiti con l’aiutino. Gli istituti cederanno i crediti inesigibili a una struttura finanziata dal Tesoro. Graziati i manager di manica larga

Le gestioni allegre delle nostre banche, i prestiti per centinaia di milioni dati sempre ai soliti noti del capitalismo nostrano (mentre una piccola impresa poteva fallire per pochi euro) alla fine sono diventati un buco imponente. I soliti noti non hanno fatto fronte agli impegni e le banche si trovano in bilancio una zavorra di miliardi che impedisce di concedere nuovi finanziamenti all’economia reale (imprese e famiglie). Dunque in nome del primario interesse di far ripartire il Paese qualcuno deve caricarsi questa zavorra. E alla fine chi sarà il fortunato? Saremo tutti noi ovviamente, cornuti e mazziati come si suol dire, spettatori incolpevoli dell’ultima diavoleria finanziaria: la costituzione di una bad bank. Un male però necessario.

COME FUNZIONA
Si cosa si tratta? La bad bank è l’ennesima socializzazione delle perdite (senza nulla dire sulla precedente privatizzazione degli utili). Si tratta di una società che viene costituita – solitamente con un azionariato misto pubblico-privato, con lo Stato in minoranza – con l’obiettivo di comprare (a prezzi ridotti) parte dei crediti in sofferenza detenuti dalle banche, che possono così scaricarli dai propri bilanci. Mentre la bad bank cercherà di recuperarne il maggior numero possibile. L’idea non è nuova e in Italia ci si lavora da molti mesi, anche con la bendedizione della Banca d’Italia. Tanto che appena qualche giorno fa, il governatore Ignazio Visco l’ha definita un’idea interessante. E in effetti, in teoria, la creazione di una bad bank può rappresentare un’utile strumento per facilitare l’accesso al credito. Una volta liberate dal peso delle sofferenze, le banche sarebbero infatti incentivate ad erogare nuovi prestiti. L’enorme zavorra dei crediti deteriorati impedisce infatti di utilizzare molti soldi che il sistema deve tenere bloccato a garanzia, come le nuove regole di Basilea dispongono in modo molto più stringente rispetto al passato. Secondo l’Abi, l’associazione bancaria italiana, gli istituti italiani hanno chiuso il 2014 con 183,7 miliardi di sofferenze lorde: il 9,6% sul totale dei prestiti concessi (nel 2007 erano il 2,8%). La presenza di questi crediti in sofferenza rappresenta perciò un freno per le banche che per non aggravare ulteriormente la loro situazione, tendono a concedere nuovi prestiti soltanto a chi (singoli clienti, famiglie o aziende) non viene considerato “a rischio”. Cioè quasi a nessuno.

IL CASO SPAGNA
Bisogna dunque togliere questo fardello e per farlo come al solito si chiama Pantalone. Ai banchieri di manica larga che hanno dato quattrini senza garanzia (intascandoci sopra anche i bonus) non li tocca nessuno. A invocare l’intervento pubblico è d’altronde anche l’Ocse, che ha invitato implicitamente l’Italia a costituire una bad bank, seguendo i recenti esempi di Spagna ed Irlanda. Negli ultimi anni, prima Madrid e poi Dublino hanno costituito infatti strutture analoghe, riuscendo a dare in questo modo una importante mano alla ripresa. Significativo il caso spagnolo: nel 2012 la Spagna creò la Sareb, soddisfacendo così una delle tante condizioni imposte dalla Troika (Commissione europea, Bce e Fmo) in cambio di un piano d’assistenza finanziaria da 41 miliardi di euro, interamente finanziato attraverso il fondo salva-Stati. E ha funzionato.