Le mafie sono ovunque

di Clemente Pistilli

Fanno affari ovunque, ma il Parlamento non se ne cura. Inquinano l’economia e piegano ai loro interessi la politica, però non sono una priorità nell’agenda di Montecitorio e Palazzo Madama. Delle mafie in Italia si parla poco. Trascorsa la stagione stragista degli anni novanta sembra quasi che ci sia chi vorrebbe consegnarle alla storia. Eppure non passa giorno che non vengano compiuti arresti e sequestri nelle principali regioni italiane. Ovunque. Non più solo in Sicilia, Calabria e Campania, regioni in cui sono nati i clan. I politici discutono di altro. E quando si ricordano di inserire nell’ordine del giorno la parola criminalità organizzata lo fanno quasi esclusivamente per azzuffarsi sull’ennesima poltrona da assegnare o su come bacchettare i magistrati, “rei” di convocare come testimone anche il Capo dello Stato, pur di fare luce su boss e fiancheggiatori istituzionali.

Silenzi in aula

Nella legislatura in corso di mafie si è parlato per le iniziative dei pm palermitani nel processo sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, visto che come teste è stato appunto chiamato anche Giorgio Napolitano e che il pubblico ministero Nino Di Matteo è stato pesantemente minacciato da Totò Riina. L’argomento è poi stato toccato per il dramma che sta vivendo la Campania a causa degli affari con i rifiuti, che hanno avvelenato la regione e fatto ricchi i Casalesi. Ma soprattutto un po’ di tempo è stato speso per decidere a chi far presiedere l’ennesima commissione d’inchiesta antimafia, per poi dare la poltrona, nonostante diversi mal di pancia, a Rosy Bindi. Del resto, si sa, al Parlamento non sono mai bastati i magistrati. Secondo deputati e senatori per dare la caccia ai boss e svelare i misteri d’Italia servono i politici. Su tutto il resto tanti silenzi, poche interrogazioni e pochissime risposte. Da tutti i partiti. Le associazioni di stampo mafioso fanno affari in tutta Italia e anche all’estero. E senza essere disturbate più di tanto.

Un Paese stritolato

Per avere un’idea del cancro che rappresenta la mafia per l’Italia basta guardare all’ultimo monitoraggio del fenomeno fatto dalla Dia, quello su quanto accaduto nella mala nei primi sei mesi dello scorso anno e raccolto in un dossier trasmesso di recente al ministro dell’interno, Angelino Alfano. L’immagine che viene fuori della penisola è quella di un Paese sotto scacco. Infiltrazioni, per non dire radicamenti, dei clan in tutte le regioni, utilizzate soprattutto per riciclare somme enormi di denaro. Gli investigatori hanno scoperto affari della ‘ndrangheta, l’organizzazione al momento più potente e ricca, in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, cuore economico d’Italia dove ormai i calabresi si stanno integrando nel tessuto socio-economico e creando strutture analoghe a quelle della loro regione d’origine, Veneto, con pesanti condizionamenti soprattutto nell’edilizia del vicentino e del veronese, in Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio, territorio quest’ultimo dove a Roma i mafiosi sparano e uccidono in strada, proprio come un tempo facevano a San Luca o a Reggio, e dove stanno prendendo il controllo di storici locali della capitale. Il business di Cosa Nostra si è invece allargato al Piemonte, alla Lombardia, al Veneto, al Friuli, alla Liguria, dove sono stati monitorati interessi direttamente della primula rossa Matteo Messina Denaro, all’Emilia, alla Toscana, dove opera anche la cosca dei Madonia, al Lazio e alla Sardegna. La camorra, infine, cerca di dettare la sua legge in Lombardia, con i Gionta e i Mariano, in Emilia, con gli Schiavone e i Licciardi, nelle Marche, con i Pagnozzi, in Toscana, con i Contini, nel Lazio, dove a Roma si è fatto da tempo largo Michele Senese, e sta inquinando anche la Repubblica di San Marino. Non è del resto un caso che sono stati sciolti Comuni per mafia anche in Liguria, Piemonte e Lombardia. Per fare affari, riciclare denaro, mettere le mani sugli appalti, servono sponde nelle pubbliche amministrazioni. Ai mafiosi servono gli affari. Ai politici i voti. La legge mafiosa è così arrivata nei Palazzi. Niente bombe. Niente raffiche di kalashinikov. Le mafie indossano il doppiopetto e in silenzio prosperano. E il Parlamento? Quando non c’è la strage meglio parlare d’altro.

 

Milano come Napoli e Reggio

Ai clan sequestrati 1.186 beni

di Oscar Valori

Le mani avide delle mafie si estendono sulla Lombardia. Non è un’immagine metaforica né la sceneggiatura di un film d’azione, ma la cruda realtà raccontata dai numeri. I numeri sono quelli dell’ultimo report dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, presentato in occasione del progetto “Mafia free”. Un memorandum d’intenti tra Regione Lombardia, Comune di Milano, Ministero dell’Interno e Società Expo, per sottrarre energie e risorse alla criminalità organizzata.

Il rapporto

Per le strade, nel frattempo, la realtà è quella disegnata dai numeri. L’ultimissimo allarme riguarda la “predilezione” delle cosche per l’agricoltura. Nella sola Lombardia infatti sono stati sequestrati ben 50 terreni agricoli e fabbricati rurali, disseminati in 29 comuni fra Milano, Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Pavia, Sondrio e Varese. Non si salva quasi nessuno dunque, neanche alle latitudini dell’ex virtuosa Lombardia. Agricoltura ma non solo. “In totale sono 184 i centri dove lo Stato è intervenuto – spiega la Coldiretti regionale – delineando una mappa della presenza mafiosa che interessa, a livello di sequestri, il 12% del territorio lombardo e riguarda, per la maggior parte, appartamenti, ville, box, capannoni e attività commerciali. “La quantità dei beni confiscati – spiega Ettore Prandini, presidente della Coldiretti Lombardia – è da un lato un indicatore preoccupante di infiltrazioni nei nostri territori, dall’altro però è il segnale di una grande attività di indagine e di repressione. Gli investimenti del crimine organizzato sembrano puntare in particolare sul settore immobiliare residenziale, come dimostrano i dati dell’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati”.

“Le solite note”

L’Agenzia è stata istituita con decreto-legge 4 febbraio 2010. Ente di diritto  pubblico posto sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno, si occupa di provvedere all’amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati in via definitiva. Il cuore della sua “missione”? Cercare di superare  le criticità che spesso ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi e quindi il riutilizzo sociale degli stessi.

Lombardia sotto attacco, dicevamo. Al gennaio 2013 sono infatti ben 1.186 (su quasi 13mila in Italia) i beni sequestrati nel territorio regionale. Una Regione che diventa ora la prima del centro nord rispetto a questo poco invidiabile primato, quarta in Italia dopo le più “scontate” Sicilia, Campania e Calabria.

A fare la parte del leone è la Provincia di Milano, con il 43% dei comuni (58 su 134) interessati.

Accanto al capoluogo, un po’ a sorpresa, la piccola provincia di Monza e il territorio dell’operosa Brianza, con il 24% dei comuni toccati dal problema. A seguire, in questa specialissima classifica della presenza di beni confiscati, le province di Brescia, Varese e Como (rispettivamente con il 16, 13,5 e 10%).

Alcuni nomi di località interessate rimandano a vicende assai controverse. Si va infatti da Buccinasco e Cesano Boscone, nell’hinterland sud (dove negli anni ’60 e ’70 venivano mandati i “mammasantissima” al soggiorno obbligato) alla vicina Sedriano, primo comune lombardo ufficialmente sciolto per infiltrazioni mafiose.

Pericolosamente vicini se non adiacenti alla futura area Expo gli stessi territori di Rho e Nerviano, oggetto di sequestri e confische da parte dell’Autorità Nazionale. Sicuramente un grattacapo in più per chi lotta in nome di politiche e sviluppo industriale “mafia free”. vinto governa.