Le pressioni della Difesa dietro le navi all’Egitto. Che per Conte vanno vendute. La maxi-commessa non è ancora ufficiale. Ma l’accordo con al-Sisi ci sarebbe già

Che ci sia qualcosa che non torni o un non-detto che giustifichi l’operazione è un dubbio venuto a tanti, dentro e fuori i palazzi di potere. Perché suona quantomeno strano (se non tremendamente incoerente) che proprio il Movimento 5 Stelle, fino a pochi anni fa in prima linea per chiedere lo stop alla vendita di armi ai Paesi in guerra e per chiedere la verità sulla morte di Giulio Regeni, ora rifletta tanto sulla prima quanto sulla seconda battaglia, senza dare ma nemmeno togliere il proprio placet alla maxi-commessa militare che viaggia tra i 9 e gli 11 miliardi di euro con un Paese che non brilla in fatto di diritti umani come l’Egitto.

Secondo quanto rivelano fonti interne al Parlamento, qui però il Movimento c’entra poco o nulla. Almeno fino ad oggi. Nonostante, infatti, l’autorizzazione ultima e definitiva – come spiegato d’altronde anche ieri da Luigi Di Maio – spetti alla Farnesina e, più nel dettaglio, all’Uama (Ufficio Autorizzazioni Materiali di Armamento), l’ok da cui tutto è partito è arrivato direttamente da Giuseppe Conte. “È stata un’operazione che non ci ha coinvolto, ci è volata sopra la testa ed è stata messa in piedi direttamente dalla Presidenza del Consiglio – rivela un importante esponente pentastellato – C’è stata una telefonata tra il premier e il leader egiziano al-Sisi, tutto è nato da lì”. E a quella telefonata, rivelano le stesse fonti parlamentari, il presidente del Consiglio non avrebbe potuto dire di no. Per due ragioni: “innanzitutto ci sono state chiare pressioni da parte del mondo delll’industria bellica: in questo periodo fare un affare di questa portata garantisce entrate importanti”.

E, secondo, l’accordo rientrerebbe in un’intesa più ampia che toccherebbe anche questioni geopolitiche e, dunque, gli equilibri dell’intera zona. In altre parole Conte avrebbe ottenuto da al-Sisi – nel caso in cui l’affare militare dovesse andare in porto – un atteggiamento più tenue in Libia nell’appoggio al generale Khalifa Haftar che già da mesi si muove contro il governo di unità nazionale. Il presidente del Consiglio, insomma, spinto da pressioni interne ed industriali – che secondo alcuni avrebbero trovato ristoro e fondamentale appoggio anche al ministero della Difesa e in alcuni esponenti del Pd – avrebbe dato il suo assenso alla trattativa commercial-militare, chiedendo però in cambio un impegno del Cairo sul fronte libico. Pura strategia di Real Politik, insomma. Che tuttavia rischiava di creare forte disagio all’interno del Movimento cinque Stelle.

PENTASTELLATI COMPATTI. Come spiega, invece, il senatore 5S Gianluca Ferrara contattato da La Notizia, “nonostante sia da sempre vero che all’interno del Movimento Cinque Stelle le posizioni in campo sono spesso eterogenee, su quest’argomento siamo compatti: la Farnesina ancora deve valutare la commessa con l’Egitto”. Che è come dire: non è ancora detto che alla fine l’autorizzazione venga concessa, specie dopo che anche le varie organizzazioni pacifiste – a cominciare dalla Rete per il Disarmo – si sono mosse facendo sentire la loro voce. Tutto dipenderà dalla posizione di Conte, stretta tra due estremi: da una parte assecondare i desiderata dei pentastellati (che ora chiedono anche un maggior coinvolgimento in queste decisioni del Parlamento), dall’altra scendere a patti con l’Egitto in un periodo di crisi economica durante il quale potrebbe essere fondamentale non aprire altri fronti di contrasto nella maggioranza.