Lega, addii in serie: Baldini si sfila in Toscana e tuona contro la “vannaccizzazione”

Dopo Baldini, la lista degli addii alla Lega si allunga: per inseguire consensi Salvini affida il partito a Vannacci e svuota i territori

Lega, addii in serie: Baldini si sfila in Toscana e tuona contro la “vannaccizzazione”

È mezzogiorno meno venti quando Massimiliano Baldini rompe gli indugi. «Voglio segnare la mia distanza dalla “vannaccizzazione” della Lega… non mi ricandido alle regionali», scrive, e chiude con un rovesciamento perfetto: «Generale, nella Lega il vero mondo al contrario sei te». Accusa un metodo: il «listino bloccato» per chi è nel partito «da quattro mesi». E disegna il perimetro della frattura toscana: candidati calati dall’alto, territorio scavalcato, una macchina commissariata dalla popolarità del vicesegretario Roberto Vannacci. È l’istantanea di oggi, ma è anche l’ultimo fotogramma di un film che dura da mesi.

La trama è chiara nelle date. Il 18 marzo 2025 Marco Casucci, consigliere regionale e vicepresidente dell’Assemblea toscana, lascia la Lega e la sua carica: «partito spinto troppo a destra», dice, e passa al Misto. Il 5 luglio, nelle Marche, il segretario provinciale di Ascoli Piceno Roberto Maravalli si dimette. Il giorno dopo, 6 luglio, la consigliera regionale Monica Acciarri abbandona il Carroccio e approda in Forza Italia; lo stesso 6 luglio Riccardo Gagliardi annuncia l’addio e la rinuncia agli incarichi legati all’Antimafia regionale, motivando con l’“effetto Vannacci”. Oggi tocca a Baldini in Toscana, che non molla Salvini ma prende le distanze dalla linea incarnata dal generale. Geografia e cronologia coincidono: Toscana e Marche come laboratori della sostituzione di classe dirigente.

Il partito consegnato al generale

La scelta politica sta tutta qui: per inseguire un dividendo di consenso immediato, Matteo Salvini ha spalancato il partito al carisma di Vannacci, fino a farne il regista delle liste e dei territori in cui si gioca la partita più delicata, la Toscana. A febbraio il generale aveva già fatto intendere di voler rimettere mano alla candidatura della governatrice, criticando pubblicamente il nome uscito dagli organismi; poi la spinta organizzativa si è allargata, con comitati, cene, pacche sulle spalle a centinaia di militanti, e la promessa di «fare il botto» nel 2025. Nel frattempo, però, i campanelli d’allarme suonavano: ogni ingresso di Vannacci nel processo decisionale era un passo indietro per la classe dirigente locale, un logoramento lento di regole e consuetudini che tengono insieme un partito vero.

L’effetto è misurabile. Si svuotano i ruoli intermedi, si alza il tasso di conflitto interno, si moltiplicano i “non ci sto” di amministratori e consiglieri che, nell’ultimo anno, hanno portato voti, dossier e relazioni sui territori. La semplificazione che funziona in Tv – una figura forte, un racconto identitario, un nemico simbolico – non regge quando si passa alla meccanica delle liste: lì contano equilibrio, radicamento, riconoscimenti. Il «listino bloccato» evocato da Baldini è la metafora di un’occupazione dall’alto che scambia il partito per una lista personale. E chi quella struttura l’ha costruita oggi se la vede scippare.

Il conto politico di “un pugno di voti”

La tesi è facile da formulare e difficile da smentire: per un pugno di voti in più, Salvini sta regalando la Lega a chi, politicamente, vuole mangiarsela. L’effetto cannibale si vede già: il brand Lega diventa veicolo della leadership personale di Vannacci; il segretario affida a un vice la leva che decide le carriere interne; gli amministratori misurano la distanza tra le regole di ieri e il metodo di oggi e scelgono l’uscita. Non è un dibattito sulle idee – quelle, del generale, sono note -, è una questione di potere: chi decide, dove si decide, quanto contano i territori. E in Toscana, regione simbolo per il Carroccio di governo, l’errore rischia di costare doppio.

La cronaca di questi mesi consegna a Salvini un avviso formale. Casucci in marzo, Maravalli e poi Acciarri e Gagliardi in luglio, oggi Baldini: non sono “casi personali”, compongono un pattern. È la filiera che si spezza: dai vertici regionali alle segreterie provinciali fino alle aule consiliari. Ogni addio è un pezzo di organizzazione che va perduto, una rete che si allenta, un pacchetto di relazioni che migra altrove. Intanto, nella narrazione nazionale, la Lega non parla più con la voce del suo segretario: parla con quella del suo vicesegretario, che indica candidati, bacchetta le scelte, promette di correre anche “da solo” se serve e chiede fedeltà più che militanza.

Una strategia paradossale

Il paradosso lo raccontano le parole di Baldini: «nella Lega il vero mondo al contrario sei te». È un rovesciamento che non riguarda la sola Toscana. Dalle Marche arrivano segnali identici, con riorientamenti verso Forza Italia e uscite motivate dall’“estrema destra” imboccata dal partito. Se l’obiettivo era allargare, il risultato è restringere: restringere la base, restringere la classe dirigente, restringere la possibilità di governare territori complessi dove contano competenza, mediazione e memoria lunga.

La politica è scelta di priorità. Salvini ha scelto di scommettere sul magnete elettorale del generale, accettando il prezzo di una resa interna. Può funzionare in una campagna elettorale corta, può pagare al primo giro, può produrre titoli e decibel. Ma un partito è un organismo: se gli togli anticorpi e cervello territoriale, resta solo il muscolo. E il muscolo, alla prima prova vera, cede. Oggi la Lega incassa un altro addio pesante. Domani, se la rotta resta questa, incasserà il conto politico della consegna. Con un’aggravante: il debitore, a quel punto, sarà proprio chi oggi viene descritto come il valore aggiunto. E la cassa, quella della Lega, potrebbe trovarsela già vuota.