L’ennesimo trucco per finanziare a pioggia le fondazione politiche, spacciandole per enti culturali. Così si spartiscono 5,6 milioni

di Stefano Sansonetti

Una pantomima in piena regola. Pur di giustificare un assegno da 5 milioni e 685 mila euro di fondi pubblici, che il ministero dei Beni culturali ha appena deciso di ripartire tra 125 enti non sempre di cristallina utilità, ci si è inventati la bellezza di 11 “fasce di merito”. Leggere, per credere, la documentazione che qualche giorno fa è pervenuta alla Commissione cultura alla Camera. L’elenco che ne viene fuori è il seguente, da leggere tutto d’un fiato: “1) Superiore all’eccellenza; 2) Eccellente; 3) Molto più che ottimo; 4) Più che ottimo; 5) Ottimo; 6) Molto più che buono; 7) Più che buono; 8) Buono; 9) Più che discreto; 10) Discreto; 11) Sufficiente”. Di che cosa si tratta? Semplice, delle categorie in cui il ministero inserisce enti e istituti di cultura quando li ritiene meritevoli di un contributo annuale. Il tutto in base alla valutazione della qualità della ricerca, dell’attività svolta nel precedente triennio e del patrimonio documentario.

LE CIFRE
Inutile dire che a ogni categoria corrisponde un diverso livello di finanziamento. Per chi è superiore all’eccellenza ci sono a disposizione 210 mila euro, per chi è sufficiente appena 15 mila. Ma basta andarsi a leggere il decreto di ripartizione dei 5,6 milioni, firmato dal ministro Dario Franceschini e dal collega dell’economia, Pier Carlo Padoan, per capire che le 11 fasce di merito sono fondamentalmente un’escamotage per premiare una platea eterogenea di enti che spesso hanno molto poco di culturale, come le fondazioni più o meno politiche. Nella categoria “più che ottimo”, e quindi meritevole di un contributo annuo di 140 mila euro, c’è per esempio la fondazione Lelio e Lisli Basso, presieduta dall’ex parlamentare europea dei Ds Elena Paciotti, con consiglieri di amministrazione di area Pd come Fabrizio Barca e Walter Tocci. Nella categoria “più che discreto”, per 30 mila euro annui, spunta la fondazione Craxi, presieduta dalle ex deputata di Fi Stefania Craxi, già sottosegretario agli Esteri nel governo Berlusconi IV. Affollata la categoria “discreto”, che dà diritto a 25 mila euro all’anno. Qui troviamo la fondazione De Gasperi, guidata dal ministro dell’interno Angelino Alfano, e la fondazione Donat-Cattin, nel cui Cda siedono il presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino (Pd) e il già segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando. Nella casella “discreto”, peraltro, c’è pure la fondazione Corriere della Sera, che proprio politica non è. Però vien lo stesso da chiedersi perché succhi 25 mila euro di soldi pubblici all’anno, visto che il gruppo editoriale del Corrierone vanta azionisti che vanno dagli Agnelli a Diego Della Valle, passando per Mediobanca. C’è proprio bisogno di attaccarsi alla mammella di Stato? Una domanda che può porsi anche per la fondazione Magna Carta, presieduta dall’Ncd Gaetano Quagliariello, che è riuscita a infilarsi nella categoria “sufficiente”, con ciò strappando 15 mila euro. Era proprio necessario, visto che la Magna Carta ha tra i suoi fondatori società come Erg e Mediaset? Stesso quesito per un’altra “sufficiente”, la fondazione Ansaldo, che intasca 15 mila euro l’anno nonostante sia stata creata da Finmeccanica e venga finanziata da società del gruppo come Selex Es o da ricchi organismi privati come Confindustria Genova e Compagnia San Paolo.

IL QUADRO
La realtà è che questo decreto di Franceschini, che stabilisce i contributi ordinari annuali a istituti di cultura per il triennio 2015-2017, fa acqua da tutte le parti. Sarebbe sin troppo semplice far notare che i finanziamenti dovrebbero sempre tendere alla categoria dell’“eccellenza”, cioè soltanto a quegli enti che veramente svolgono attività culturale con adeguate strutture e patrimonio documentario. Del resto anche la Commissione cultura, chiamata nei giorni scorsi a fornire il parere di rito sul decreto, ha dato il suo via libera, ma con raccomandazioni di non poco conto. La più secca è che in futuro “si provveda a una revisione generale dei meccanismi di sostegno statale agli istituti ed enti operanti nel settore dei beni culturali, sulla base di criteri trasparenti e meritocratici in termini di destinatari e di entità del sostegno”. Certo, magari ci si può chiedere perché il Parlamento, con tali riserve a monte, abbia poi dato parere favorevole a valle. Ma forse sarebbe chiedersi troppo.

GLI ESCLUSI
Che poi, a dirla tutta, il ministero dei Beni culturali alla fine ha anche trovato il “coraggio” di escludere alcune fondazioni dalla cuccagna dei contributi annuali. Il dato emerge da una griglia depositata in Commissione cultura della Camera dal sottosegretario Francesca Barracciu. Dalla documentazione, firmata il 5 agosto scorso, viene fuori che tra gli enti inseriti in quella che può essere considerata come una sorta di dodicesima fascia di merito, definita “non sufficiente”, ci sono la fondazione Di Vittorio e la Liberal. La Di Vittorio, di fatto, è la fondazione di casa Cgil, essendo stata fondata all’epoca proprio dal sindacato oggi guidato da Susanna Camusso. Che l’ente sia vicino alla Confederazione di Corso Italia, del resto, è dimostrato anche dal fatto che attualmente è guidata dal presidente Fulvio Fammoni e dal segretario Carlo Ghezzi, entrambi già ai vertici della Cgil. Considerare un ente “non sufficiente”, spiegano le carte, significa che “l’istituto, pur svolgendo attività di ricerca culturale, non raggiunge in più di uno dei criteri previsti dalla normativa primaria e secondaria gli standard dalla medesima richiesti”. E così è escluso dai finanziamenti. Una sorte amara che, oltre alla Di Vittorio, ha toccato anche la fondazione Liberal fondata da Ferdinando Adornato, deputato che è approdato in Alleanza Popolare dopo aver indossato in passato le casacche di Fi e Udc.

Twitter: @SSansonetti