Letta cerca il cambio di passo

di Lapo Mazzei

E ora serve davvero un “cambio di passo”. Sarà perché vuole adeguarsi ai tempi che corrono, sarà perché l’effetto Matteo Renzi va crescendo come le maree del nord (l’ultimo sondaggio realizzato da Tecné, in esclusiva per Tgcom24, evidenzia come la vittoria del sindaco di Firenze alle primarie fa guadagnare altri due punti al Pd e logora Letta, con la fiducia nel governo sempre più in calo), sarà perché la stampella del Nuovo centrodestra assomiglia sempre più ad un grissino, fatto sta che il premier ha deciso di uscire dall’angolo, tirando fuori gli artigli, presi in prestito chissà dove. E così nel bel mezzo della girandola di consultazioni modello prima Repubblica – altro che contratto di programma e amenità simili – Enrico Letta ha consegnato ai taccuini dei cronisti la frase che dovrebbe essere il leit motiv delle prossime settimane. A margine della consultazione con la delegazione dei Popolari per l’Italia il governo, anche alla luce della nuova maggioranza che lo sostiene, ha bisogno di «un cambio di passo». Certo non siamo davanti ad una delle storiche frasi di sir Winston Churchill ma dati i tempi dobbiamo pur accontentarci di quel che passa il convento.
Detto ciò il presidente del Consiglio viene descritto da coloro che lo hanno incontrato ieri pomeriggio molto determinato a rafforzare l’azione del governo sostenuto ora da una maggioranza diversa da quella originaria ma che ora può essere più coesa se tutti gli attori si sentono responsabili del progetto. In questa chiave, avrebbe detto il premier, anche il neosegretario del Pd è «uno stimolo» per passare da «un 2013 di emergenza ad un 2014 di riscossa». A loro volta i Popolari per l’Italia hanno confermato al premier il loro incondizionato sostegno ribadendo che nessuno, nella maggioranza, ha «l’esclusiva del riformismo» e non saranno accettati «diktat».

Diffidenze e sospetti
In attesa di verificare sul campo la concretezza di questi propositi, sullo sfondo continuano a muoversi le ombre dei problemi che agitano il sonno a palazzo Chigi. E di questi tempi, con Renzi in pieno delirio d’onnipotenza, ci vuol poco a creare una pioggia di scintille tra il Pd a guida fiorentina e il governo delle ristrette intese. A volte basta una frase, un concetto magari poi puntualizzato e precisato, per scatenare reazioni, illazioni, speculazioni e conclusioni. Tutte cose volte a dimostrare quello che nei salotti e sui divanetti di Montecitorio viene ribadito da giorni, e cioè che il Pd nutre sempre più insofferenza nei confronti di un esecutivo nel quale stenta a riconoscersi. Se poi si aggiunge che anche Scelta Civica scalpita, il quadro si fa più buio. L’avvertimento, in questo caso, arriva tramite il segretario del partito Stefania Giannini: siamo pronti a votare contro l’aumento dell’aliquota della Tasi, anche se il governo dovesse porre al fiducia.

Forza Italia gongola
Non è un caso, allora, se la mattina di ieri è stata inaugurata da un renziano doc che ha scatenato un putiferio con una battuta. «Penso sia grave quando un ministro così importante come Saccomanni dica sono un esecutore o nessuno mi ha istruito» ha confidato Dario Nardella a una trasmissione radiofonica. «Penso che il Ministero dell’Economia debba essere guidato da un politico, come regola generale perché abbiamo visto che l’esperienza dei tecnici non ha funzionato bene». Matteo vuole la testa del ministro più discusso del momento, dopo aver provocato le dimissioni del suo vice? Probabile. Da via Venti Settembre si controllano non solo i conti ma anche le scelte di palazzo Chigi. Mica una cosa da poco, soprattutto se non si va al voto a maggio. «Renzi, per interposta persona, ha licenziato il ministro Saccomanni. È una buona notizia. Come in “Dieci piccoli indiani” non ne resterà nessuno» twitta con evidente soddisfazione Mara Caarfagna, la portavoce del gruppo Forza Italia alla Camera. Agli azzurri, del resto, interessa andare a votare ma anche vedere messo alla porta Saccomanni. E Renzi sta facendo il lavoro sporco anche per loro. Anche perché la trattativa fra il segretario del Pd e Silvio Berlusconi sulla nuova legge elettorale potrebbe essere la chiave di volta di tutto. Se Matteo dovesse scegliere per tutti, in modo da ridurre il potere contrattuale del Cav, è difficile che si vada al voto a maggio e quel punto Renzi potrebbe chiedere a Letta sono un semplice rimpasto, ma una ridefinizione della squadra di governo, con i renziani nei posti chiave. E allora si che avremmo un vero cambio di passo….