Libertà di impresa, siamo tra gli ultimi al mondo

di Carmine Gazzanni

Se ci dicessero che l’Italia gode di un grado di libertà economica inferiore a quello dell’Azerbaijan, dell’Oman, del Ruanda o del Kazakistan, penseremmo ad una esagerazione populistica di cattivo gusto. Se non fosse però che è proprio ciò che emerge dall’appena pubblicato “Index of Economic Freedom 2014”, compilato dal think-thank americano “Heritage Foundation” in collaborazione con The Wall Street Journal. Un quadro imbarazzante che vede l’Italia piazzarsi tra i Paesi “per lo più liberi”, soltanto a 4 posizioni da quelli “non-liberi”. Il punteggio è infatti appena sufficiente: 60,9 su 100. E il risultato non può che essere critico: siamo 86mi (su 178) al mondo e 35mi in Europa (su 42).
A scorrere i dati appaiono abbastanza evidenti le responsabilità che negli anni ha accumulato la politica nostrana.

Il rapporto
Se infatti gli unici risultati soddisfacenti sono quelli per i quali incide notevolmente l’adesione all’Ue (è il caso della circolazione di merci e capitali per i quali raccogliamo un 87 e un 85 su 100), non va così bene per altri parametri i cui risultati negativi sono, per così dire, tutta farina del nostro sacco. Prendiamo, ad esempio, la libertà dalla corruzione: qui registriamo un 38,5 posizionandoci alle spalle, tra gli altri, di Paesi come la Namibia, Cuba e il Kuwait. Non va meglio nella libertà sul mercato del lavoro (52,5) e nella regolamentazione bancaria e finanziaria (60). Ed ecco allora che l’Italia strappa a stento una sufficienza piazzandosi, come detto, all’86mo posto, appena appena insieme ai Paesi classificati come “parzialmente liberi”, lontana anni luce dai Paesi “per lo più liberi” (l’ultimo di questi, la Colombia, ha ottenuto 70,7 e si è piazzata al 34mo posto) e pericolosamente vicina a quelli “per lo più non liberi” (il primo di questi è l’Uganda al 91mo posto con 59,9).

Il nodo delle tasse
Ma il giudizio negativo sul nostro Paese non dipende soltanto da una regolamentazione soffocante, dal mercato del lavoro inflessibile e da una corruzione dilagante. A tutto questo infatti si aggiungono i lacci e lacciuoli burocratici, le alte tasse e la spesa pubblica esorbitante. Stando al rapporto, infatti, sono soprattutto questi i parametri che affossano il nostro indice di libertà economica. E, peraltro, a livelli incredibili. Prendiamo il parametro che misura l’incidenza di tasse e spese governative: l’Italia raccoglie un imbarazzante 25,6 posizionandosi addirittura alla posizione 166 al mondo. Un risultato a cui, come se non bastasse, fa eco il secco (e tutt’altro che roseo) commento degli osservatori, secondo cui “l’aliquota dell’imposta sul reddito individuale è superiore del 43% e il tasso di imposta sulle società è superiore del 27,5%”. Tasse troppo alte, dunque, che comportano un onere fiscale complessivo pari al 43% del Prodotto interno lordo. A tutto questo si aggiunge una spesa pubblica pletorica “pari a circa il 50% dell’economia nazionale”.

Troppa burocrazia
Ma non è tutto. Ad essere condannata, infatti, è anche la struttura burocratica italiana che spesso soffoca soprattutto le pmi. Non a caso non riusciamo nemmeno a strappare la sufficienza (55,5). Un risultato che, d’altronde, conferma quanto emerso pochi giorni fa da un rapporto della Cgia di Mestre secondo cui sono ben 97 le attività di controllo che gravano sulle piccole imprese italiane. Insomma, troppe direttive, troppe leggi, troppi regolamenti che spesso creano solo confusione e che – questo è certo – rendono la libertà economica nient’altro che un miraggio.