L’inutile colpo agli enti camerali

Di Sergio Patti

Il Paese ha bisogno di riforme, soprattutto quelle drastiche e capaci di liberare risorse per aiutare le imprese. Fare le riforme però non significa fare automaticamente delle buone riforme. E nella foga di cambiare si rischia facilmente di gettare il bambino con l’acqua sporca. Quello che potrebbe accadere con le Camere di commercio italiane, minacciate di perdere da un anno all’altro il 50% dei diritti fissi versati dalle aziende. Quale azienda potrebbe sopravvivere perdendo in un solo esercizio metà dei proventi? Pochissime. E dunque i quasi 12 mila dipendenti e funzionari del mondo camerale italiano finirebbero presto sulla strada. I servizi che le Camere offrono alle imprese e al territorio, soprattutto sotto forma di sostegno a iniziative culturali, andrebbero perduti. Quindi alla fine dei conti, far saltare questi enti porterà più o meno benefici all’economia e alle collettività?

Scure mortale
La risposta sta nei numeri: su un miliardo di euro di risorse annue, 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane. Senza i 400 milioni che verrebbero tagliati dalla riforma della Pubblica amministrazione, mancherebbe il bugdet per il funzionamento delle Camere di Commercio. Il 46% dei ricavi serve, infatti, a pagare stipendi e a gestire gli uffici: per la Pubblica amministrazione nazionale il dato, invece, sale al 70%.
Tutti soldi risparmiati, si potrebbe pensare. In realtà invece la scomparsa delle Camere di Commercio rischia di pesare drammaticamente sulle piccole e medie imprese che solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro. Un fiume di soldi impiegato per favorire l’internazionalizzazione, la presenza a fiere e ad accedere al credito attraverso il sistema dei Confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l’anno. Insomma per le Pmi c’è il rischio beffa: in cambio di un risparmio di 100 euro l’anno (i diritti fissi fino a 100 mila euro di fatturato ammontano a 200 euro, poi sono progressivi in base ai ricavi), potrebbero non avere più quelle garanzie economiche necessarie ad accedere a fondi nazionali ed internazionali.

Sale la protesta
Tutto il mondo delle imprese, e non solo gli addetti delle Camere di Commercio, sta alzando perciò le barricate. Manifestazioni, convegni, iniziative per spiegare i benfici di un sistema che in passato evidentemente non ha investito abbastanza per spiegare il suo ruolo, i vantaggi che ha portato e può ancora portare a tutta l’economia del Paese.

I dubbio della Camera
Chi invece ha colto questi benefici è il Servizio bilancio della Camera, nel dossier che ha accompagnato il decreto sulla Pubblica amministrazione. Per i tecnici, il taglio dei 400 milioni di diritti camerali “non comporta effetti negativi per la finanza pubblica”, ma solo perché le minori entrate possono essere compensate riducendo le spese relative ai servizi e agli iniziative che venivano finanziate con i fondi versati dalle imprese registrate. Al contrario, far affondare le Camere di commercio metterebbe subito sulla strada 2.500 lavoratori, con un aggravio sulle casse dello Stato per 167 milioni di euro l’anno: 89 per il personale in esubero, 56 per i minori versamenti e 22 per gli oneri previdenziali che oggi sono a carico del sistema camerale siciliano. Con un effetto recessivo – calcolato dalla Cgia di Mestre – di circa 2,5 miliardi. Le Camere, da parte loro, hanno dato segni di disponibilità a tagliare i costi. Tra i casi più concreti c’è quello del Lazio, dove le 5 enti camerali (uno per Provincia, si sono ridotti a due: Roma e quello dell’area vasta che ha unificato Rieti, Latina, Viterbo e Frosinone. Con un bel taglio dei costi.