L’Italia brancola nel buio sugli ostaggi in Libia. Ma Renzi e Gentiloni predicano prudenza

Cominciano a trapelare scenari tutt’altro che rassicuranti su Bruno Cacace e su Danilo Calonego, i due italiani rapiti lunedì nell’area libica del Fezzan.

Cominciano a trapelare scenari tutt’altro che rassicuranti sul cuneese Bruno Cacace e sul bellunese Danilo Calonego, i due italiani rapiti lunedì nell’area libica del Fezzan. Secondo quanto sta emergendo in queste ore, i due non erano registrati all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e viaggiavano senza scorta che, secondo quanto scriveva Repubblica, sarebbe stata tolta soltanto alcuni giorni fa. Un particolare non da poco, considerando che l’entroterra del Paese libico vive una profonda instabilità, vista la coesistenza del governo di unità nazionale guidato dal premier Fayez al Sarraj e quello di Tobruk sostenuto dal generale Khalifa Haftar, un’area peraltro contesa tra tribù locali, dai Tuareg propensi ad appoggiare Sarraj e i Tebu che invece non riconoscono l’esecutivo di Tripoli. E nel grande risiko libico si muovono naturalmente anche cellule dell’Isis e di Al Qaeda, che però secondo fonti di sicurezza e intelligence non appaiono coinvolte nel rapimento, stando agli elementi emersi finora. Tesi confermata dalla municipalità di Ghat, il cui portavoce ha riferito che i sequestratori sono “un piccolo gruppo di criminali“ noti alle autorità locali. Per la Farnesina, però, ha riferito il capo dell’Unità di crisi Claudio Taffuri, “è ancora troppo presto per definire nei contorni” la vicenda e “per giudicare la reale matrice di questi eventi”.

PISTE AL VAGLIO – Una delle ipotesi in esame è che i criminali puntassero a un rapimento lampo con immediato pagamento di un riscatto. Poi però qualcosa è andato storto e il rilascio non c’è stato. Tutto insomma converge in direzione di un sequestro a scopo di estorsione, per ottenere denaro o altri beni: azioni che le tribù nomadi mettono in atto non di rado. Quella del Fezzan, dove si trovano grandi giacimenti di gas, “è una zona di traffici, di armi e di esseri umani, nessuna pista può essere esclusa”, hanno commentato alcune fonti di intelligence citate dall’Adnkronos. E non è un caso che lo stesso Paolo Gentiloni ha da subito chiarito che bisognerà intrecciare rapporti anche con Haftar per sbrogliare la matassa. La prospettiva infatti resta preoccupante perché il rischio, come già capitato in passato, è che i due ostaggi diventino merce di scambio con i terroristi dell’Isis. Matteo Renzi, per il momento, prende tempo: rispondendo a margine dell’Assemblea dell’Onu a New York, ha dichiarato: “Lavoro, silenzio e prudenza”. Tanto basta.