L’Italia del Gattopardo. Cambiano i governi, le condizioni economiche, gli equilibri internazionali. Ma non cambia il modo di fare politica: si annuncia un intervento e poi si fa retromarcia

di Angelo Perfetti

Siamo nell’Italia del Gattopardo, non c’è niente da fare. Cambiano i governi, le condizioni economiche, gli equilibri internazionali. Tutto nuovo, ma ciò che proprio non cambia è quel modo di fare politica annunciando un intervento e poi facendo rapidamente retromarcia. Rivoluzioni a parole, conservazioni di fatto. Condite con qualche polemica, tanto per dare il senso di un dibattito interno che assomiglia tanto al gioco delle parti. E così nel giro di 24 ore abbiamo assistito a due accelerate su decreti legge, uno proposto da sinistra e un altro da destra, seguite immediatamente da frenate così brusche da provocare “rumore”.

La giornata politica
Iniziamo dalla fine: “Ho invitato il senatore Compagna a ritirare il ddl sul concorso esterno in associazione mafiosa – ha detto ieri pomeriggio il capogruppo Pdl al Senato, Renato Schifani, e ho avuto precise assicurazioni in questo senso. E’ un testo di legge che non fa parte del programma del Pdl – assicura Schifani – e che il senatore, che fa parte del gruppo Gal, ha presentato a titolo personale. ‘Per evitare strumentalizzazioni e perniciose polemiche ho invitato personalmente il senatore Compagna a un tempestivo rinvio del testo, ricevendone rassicurazioni in tal senso. La grande rivoluzione sul “concorso esterno”, quello che per intenderci che ha portato in Tribunale Giulio Andreotti, non si è compiuta. E se l’annuncio aveva provocato timide aspettative, la retromarcia ha provocato una tzunami nel partito dei giudici.

Il partito dei giudici
“Un passo indietro clamoroso nella lotta alla mafia, un vero e proprio ostacolo alle indagini”, l’hanno definito i pm più esposti nella lotta alla mafia. Le critiche più dure sono arrivate dalla procura di Palermo, che più di altre in questi anni ha contestato questo tipo di reato. Stupefatto si è detto Giancarlo Caselli, oggi alla guida dei pm di Torino: “Non ho letto il testo e, finche’ non lo leggo, non ci credo”. Netta anche la contrarietà del procuratore di Salerno Franco Roberti, a lungo alla guida della Dda di Napoli e considerato tra i magistrati piu’ accreditati alla successione di Pietro Grasso al vertice della Procura nazionale antimafia: ‘’Mi chiedo perché depotenziare uno strumento che si è dimostrato molto utile nel contrastare le organizzazioni criminali”.
Anche Antonio Ingroia ha alzato la voce: “Si tratta evidentemente dell’ennesimo tentativo di allargare l’area dell’impunità a favore dei colletti bianchi dei politici dei finanzieri degli imprenditori che costituiscono l’asse portante del sistema di potere mafioso oggi e sempre potremmo dire”. Resta da capire se Ingroia abbia parlato da magistrato (in vacanza) oppure da leader di Azione Civile. Anche Di Pietro, che il tema ha resuscitato da un periodo di oblio, ha detto la sua: “E’ un’offesa a chi ha perso la vita in difesa dello Stato, ai familiari delle vittime e uno schiaffo alla giustizia. Il silenzio dei governanti su questa proposta indecente è più eloquente di mille parole’’.

Strani fraintendimenti
Ma come detto non c’è solo il tema giustizia (e non c’è solo il centrodestra) a fare tira e molla. Il Pd ha prima annunciato dalle colonne di Repubblica – tramite il senatore Zanda – il ritiro del disegno di legge sui Movimenti, salvo poi fare marcia indietro nel corso della giornata. Come giustificare questo improvviso cambio di marcia? Paradossale ma vero: la motivazione è quella tipica berlusconiana, ossia “i giornalisti non hanno capito, il pensiero è stato travisato”. Anna Finocchiaro e Luigi Zanda nella serata di ieri hanno fatto filtrare da ambienti Dem del Senato che “si tratta di un testo già presentato nella precedente legislatura, e molto probabilmente non verrà mai discusso, ma non c’è alcuna intenzione di ritirarlo”. Sarà che ormai siamo portati a pensare male, ma gli scontri che il Pd a messo in scena a reti unificate prima sulla composizione del governo e poi sul Quirinale autorizzano a pensare che quella di ieri sia l’ultima delle infinite diatribe che ha caratterizzato il partito negli ultimi tempi. Dunque sì, no, forse, stile Prima Repubblica. Quasi una beffa del destino che a commento di questa notizia venga in mente una delle frasi più famose del simbolo del “concorso esterno”, con il quale abbiamo iniziato la giornata politica: a pensar male si fa peccato, però…