L’Italia paga miliardi all’Ue. Ma non sa prendere i fondi

di Andrea Del Monaco*

Mentre il presidente Letta invoca la crescita l’Italia non spende i fondi europei, unica risorsa rimasta per lo sviluppo. Il 20 novembre il nostro premier ha incontrato il presidente francese Hollande. La Francia è il nostro unico alleato per costruire una politica europea per lo sviluppo e il lavoro, una politica opposta al rigore contabile tedesco che sta strozzando la nostra economia. Purtroppo l’Italia è giunta male a questo vertice italo-francese: i partiti litigano per trovare la copertura del taglio dell’Imu o della cassa integrazione in deroga, la Commissione Europea non approva la Legge di Stabilità, il presidente Letta risponde a Bruxelles che di rigore senza crescita l’Europa può morire, eppure incredibilmente l’Italia non investe i fondi europei, ultimo volano rimasto per lo sviluppo. Ciò accade proprio quando il nostro paese avrebbe un disperato bisogno di politiche anticicliche.

La legge è uguale per tutti?
Nel contempo i tedeschi chiedono il rispetto delle regole del rigore contabile; Letta dovrebbe ricordare alla Germania che 10 anni fa anche i tedeschi non le rispettarono. Infatti nel 2003 la Commissione europea, presieduta da Romano Prodi, con il professor Monti alla concorrenza, denunciò Francia e Germania poichè avevano sforato i limiti del deficit di bilancio (3% sul PIL) imposti dal Patto di Stabilità. Ma alla Commissione, che difendeva le regole stabilite, si opposero l’Eurogruppo ed Ecofin che fecero sospendere la procedura per deficit eccessivo nei confronti di Parigi e Berlino. Allora furono discriminati gli Stati membri virtuosi, che avevano rispettato il Patto: Austria, Finlandia, Olanda, Spagna. Poichè grazie al complice sostegno degli italiani(e all’appoggio esterno degli inglesi), nel 2003 i tedeschi e i francesi ottennero l’intervento dei Ministri delle Finanze e l’esenzione dalle sanzioni previste, oggi l’Italia potrebbe chiedere la stessa deroga e inserire misure per lo sviluppo nella legge di Stabilità.

L’Italia paga. Eccome
A tale riguardo occorre smentire il luogo comune secondo il quale noi italiani otteniamo favori e la ricca Berlino ci mantiene: è semplicemente falso. Dopo Germania e Francia, l’Italia è il” terzo contribuente netto”( nel senso che dà a Bruxelles più di quello che riceve), prima, sottolineo prima, di Gran Bretagna, Olanda, Belgio e della rigorosa Svezia. La Corte dei Conti (secondo la Relazione del 31 dicembre 2012 della sua sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali) stimava il contributo netto dell’Italia al Bilancio dell’Unione Europea per il 2011 pari a 6,7 miliardi: infatti nel 2011 abbiamo versato 16 miliardi di euro e ne abbiamo ricevuti appena 9,3. Tra il 2005 e il 2011 l’Italia ha avuto nel complesso un saldo negativo tra i contributi versati all’UE e le risorse ricevute pari a 39,3 miliardi. Paradossalmente la cancelliera tedesca Merkel, appena rieletta a settembre, sottolineò che i fondi europei per lo sviluppo avrebbero dovuto essere spesi meglio e che il primo paese problematico fosse l’Italia; non solo, per tale ragione la Merkel ha anche ipotizzato una task force a Bruxelles sui fondi europei con poteri sostitutivi nei confronti degli stati membri inefficienti. In realtà i tedeschi sono ben contenti: poichè spendiamo poco e male i fondi europei per lo sviluppo, regaliamo 39,3 miliardi in sette anni a Bruxelles e non facciamo concorrenza alle imprese tedesche.

L’analisi dei fondi disponibili
Analizziamo precisamente quante risorse europee avremo a disposizione. Nei prossimi due anni si sovrapporranno i soldi di due cicli di programmazione: 1) più di 70 miliardi del periodo 2014-2020: circa 57,5 miliardi di euro dei programmi cofinanziati dal FESR( Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e dal FSE (Fondo Sociale Europeo); circa 17 miliardi cofinanziati dal FEASR (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale); 2) i 34 miliardi ancora non spesi al 31 ottobre del ciclo 2007-2013( secondo i dati pubblicati sui siti dei Ministeri della Coesione Territoriale e delle Politiche Agricole) così suddivisi: i rimanenti 26,8 miliardi dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali europei (FSE e FESR); i rimanenti 7,19 miliardi di euro dei piani cofinanziati dal FEASR. L’Italia avrebbe dovuto spendere e rendicontare tutto entro dicembre 2013: grazie alla deroga del meccanismo N+2 prevista da Bruxelles, deroga che evita il disimpegno automatico del cofinanziamento europeo, tutti i 34 miliardi di euro potranno essere spesi entro dicembre 2015. Poichè abbiamo solo due anni per non perdere questi soldi occorre agire con tempestività. Partiamo dai 26,8 miliardi di euro non spesi dei programmi cofinanziati da FSE e FESR: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, al 31 agosto, 6,3 miliardi (di quei 26,8) non erano ancora impegnati da obblighi giuridicamente vincolanti. Allora programmiamo questi fondi non impegnati e diamone una quota alle città metropolitane; poichè la finanza comunale è a pezzi, poichè il disegno di legge Del Rio sulle città Metropolitane rischia di essere un contenitore vuoto in quanto non individua precisamente le risorse, poichè si parla tanto di federalismo, facciamolo il federalismo. Entriamo nel merito. A Napoli non si fa la raccolta differenziata? La Campania dia al capoluogo parte dei 4,9 miliardi non spesi.

Come impiegare le disponibilità
Due esempi su Roma: sui rifiuti il Governo Letta ha dato 28,5 milioni di euro in tre anni alla Capitale. Mancano i fondi sia per gli assistenti agli alunni disabili sia per i bus che li accompagnano a scuola; sull’edilizia scolastica la Regione Lazio ha da poco stanziato 92 milioni per il 2013-2015. Invece che gravare sui fondi nazionali perchè su scuola e rifiuti Marino non chiede alla Regione una parte del miliardo di fondi europei da spendere entro il 2015? Oppure: a giugno Renzi ha avuto da Letta 20 milioni per gli “Uffizi”, perchè non li ha chiesti alla regione Toscana che deve spendere 1,1 miliardi entro il 2015? Ed ancora: nella futura città metropolitana di Torino le imprese continuano a chiudere: sarebbe necessario un piano di riconversione industriale per salvare il sistema produttivo e i posti di lavoro. Poichè la regione Piemonte deve spendere 1257 milioni entro il 2015, Fassino potrebbe farsi finanziare un piano di sviluppo locale da Cota. Nei fondi 2014-2020 le città avranno un ruolo cardine secondo la strategia Europa2020. A tale fine ho suggerito all’onorevole Sandro Gozi un emendamento al ddl Delrio che attribuisce i fondi europei alle città metropolitane pro quota abitanti e che è stato presentato a nome dello stesso Gozi e dell’on. Guerra. Se il futuro segretario del Pd Renzi si impegnasse a far passare l’emendamento, i cittadini delle aree metropolitane potrebbero valutare direttamente i loro sindaci sullo sviluppo locale. Oggi la classe politica è disattenta e non compie vere scelte sulla programmazione, errore ancor più grave quando gli investimenti sono necessari per rilanciare il paese. Oggi un Sindaco di un’area metropolitana potrebbe fare due cose: chiedere alla propria regione e al Governo nazionale l’esatto ammontare dei fondi non impegnati e riprogrammarli insieme; spulciare lo stato d’avanzamento delle misure finanziate dai fondi già impegnati e chiedere conto della lentezza di spesa. Nel contempo Governo e Regioni dovrebbero collaborare nella riprogrammazione con i comuni. Purtroppo oggi un politico preferisce andare in televisione che esaminare un noioso documento sui fondi europei non spesi che rischiano di essere restituiti a Bruxelles. Non solo, una volta analizzato un documento sui fondi non usati occorre chiedere conto delle cause della lentezza e della inefficacia della spesa. E lì si blocca tutto perchè è necessario entrare nel merito degli atti amministrativi già compiuti. E spesso la classe politica difetta sia dell’attenzione sia della determinazione necessarie. Meglio andare in televisione!

* Consulente secondo Governo Prodi