L’Italicum non è ancora rosa

di Lapo Mazzei

Per ora, a vincere, è il partito del rinvio. E poco importa se le promesse fatte dal premier Matteo Renzi rischiano di non essere rispettate. La sensazione, che con il passare dei giorni va assumendo sempre più le sembianze della certezza, è che l’Italicum – ovvero la legge elettorale il cui esame alla Camera è slittato a lunedì – non sia affatto un’emergenza, ma una contingenza. Un elemento collaterale, insomma. Perché se la posta in gioco, secondo i più recalcitranti al raggiungimento dell’accordo, è «la qualità della democrazia», è altrettanto significato che il nodo da sciogliere sia la parità di genere nella nuova legge elettorale. Quella che le esponenti del Pd vorrebbero veder garantita per legge. Non a caso tra le deputate democrat, e non solo, va crescendo il malumore per l’ultima versione dell’erede del Porcellum. La denuncia, chiara, è quella di ambiguità. Perché nel testo presentato alla Camera dei Deputati, c’è sì la previsione del 50% di donne in lista. Ma si prevede anche che i candidati possano essere due dello stesso sesso in fila. Il sospetto è che i primi posti potrebbero essere occupati solo da uomini. E i senatori del Pd lanciano un appello: «Non possiamo arretrare su questo tema». E la battaglia si muove su più piani. Il primo, la Camera. Il tentativo è quello di costruire un fronte bipartisan per ostacolare questa versione dell’Italicum.

Appello bipartisan
La presidente della Camera Laura Boldrini ieri mattina ha incontrato un gruppo di deputate per discuterne. «Abbiamo due articoli della Costituzione, il 3 (sull’uguaglianza) e il 51 (sulla promozione delle pari opportunità), che ci spingono in questa direzione – ha sostenuto – e la metà della nostra popolazione è costituita da donne. La nuova legge elettorale deve tenere conto di questo. Faccio appello a tutte le forze politiche, a deputati e deputate, perché prevalga il senso di responsabilità e le richieste avanzate in questo senso vengano prese in considerazione. Il rispetto della parità di genere è una causa che riguarda tutti e che si deve tradurre in azioni concrete. Anche così si mette in atto il cambiamento». Tra le onorevoli più attive, Roberta Agostini del Pd. Che sul suo profilo twitter scrive: «È in gioco la qualità della nostra democrazia, perciò ci impegniamo in maniera trasversale». Il riferimento è al dialogo nato con numerose deputate dell’opposizione. Da Mara Carfagna a Michela Biancofiore, da Stefania Prestigiacomo a Renata Polverini. E proprio la Carfagna twitta: «La battaglia sulla parità di genere è sacrosanta. La legge elettorale deve contenere questa norma».
Nonostante questo bel quadretto la battaglia all’interno del Partito Democratico non scende di livello. L’accelerazione imposta da Renzi sulle riforme istituzionali trova tutti d’accordo. Ma la «questione quote rosa» rischia di creare ulteriori crepe nel partito. Tra le posizioni più nette, quella della deputata napoletana Valeria Valente. Che sul suo profilo Facebook, scrive: «Attenzione: il Parlamento più femminile della storia repubblicana italiana non può licenziare, nemmeno in prima lettura, una nuova legge elettorale che ignori completamente la questione della rappresentanza di genere». E non si tratta «solo di rispetto del dettato costituzionale. È soprattutto una grande questione di civiltà». Infine: «Per la politica è giunta l’ora di far corrispondere i fatti concreti alle belle parole. Non è accettabile sprecare questa straordinaria occasione. Io non ci sto». Lunedì, forse, l’atto finale.

E I GRANDI PARTITI RIESUMANO LE LISTE CIVETTA

Per le quote rose si vedrà. Però avremo ancora, e la cosa sembra interessare assai, la possibilità di votare per “Forza Roma” o “Forza Lazio” o, più verosimilmente, per liste meno evocative ma più concretamente legate alla politica. Insomma, le “liste civetta” sono salve. L’Aula di Montecitorio, infatti, ha bocciato un emendamento presentato dal responsabile riforme di Scelta civica, Renato Balduzzi, che chiedeva di includere nel calcolo dei voti da assegnare alla coalizione solo le liste collegate che avessero conseguito a livello nazionale almeno l’1% dei voti validi espressi. Sull’emendamento governo e commissione avevano dato parere negativo. È una delle novità dell’esame della riforma elettorale. Alle quali va aggiunto l’emendamento presentato dall’azzurro Massimo Parisi, che ha fatto imbufalire i piccoli. I voti ottenuti dai “piccoli” partiti pur non consentendo loro l’ingresso in Parlamento, perché sotto lo sbarramento del 4,5%, servono alla coalizione per superare la soglia del 12% e, soprattutto, puntare ad arrivare ad ottenere il premio di maggioranza, che scatta se si ottiene, appunto come coalizione, il 37% dei voti. Insomma, di tante piccole porcate è lastricato l’Italicum…