Prima le lavagne celebrative del Liberation Day, poi le minacce. Infine, la scure. Donald Trump ha inaugurato la nuova stagione dell’America First a colpi di dazi cosiddetti reciproci contro 92 Paesi, con il pendolo che oscillerà dal 10% al Regno Unito fino al 50% riservato a India e Brasile.
“Miliardi di dollari, provenienti in gran parte da paesi che hanno tratto profitto dagli Stati Uniti con entusiasmo, inizieranno ad affluire negli Usa”, ha dichiarato Trump sul suo social Truth pochi minuti prima dell’entrata in vigore dei dazi.
L’Europa è ancora sospesa alla stretta di mano di Turnberry, senza un testo formale
L’Europa è ancora sospesa alla stretta di mano di Turnberry, senza un testo formale a blindare l’aliquota del 15%, con il rebus esenzioni ancora tutto da risolvere e i malumori interni dei Paesi membri. Per la Casa Bianca la linea è tracciata: chi non si adegua, paga. Chi investe, si salva. Come nel caso di Apple che, con un annuncio da 100 miliardi di dollari in nuovi investimenti negli Stati Uniti (che si sommano ai 500 già programmati) è riuscita a scampare alla blacklist. Alla pari di Cupertino, dalle promesse d’investimento in energia e industria a stelle e strisce – per oltre mille miliardi di euro – passa anche la sorte del patto europeo di Turnberry.
Bruxelles frena sugli oltre mille miliardi di dollari promessi: impegni non vincolanti
Sebbene Bruxelles freni. Nel quadro dell’intesa sui dazi, l’Ue ha trasmesso all’amministrazione Usa “intenzioni aggregate in materia di spesa energetica e di investimenti delle aziende europee nell’economia statunitense”. Ma “questi impegni non sono vincolanti: la Commissione non ha il potere di imporli. Si tratta però di intenzioni trasmesse in buona fede, dopo aver consultato le nostre industrie e gli Stati membri per avere un quadro chiaro delle prospettive”, ha detto il portavoce dell’esecutivo Ue per il Commercio, Olof Gill.
A Bruxelles si è sperato a lungo nel via libera di Washington al documento congiunto per dare una prima forma all’intesa al 15% prima dell’entrata in vigore delle nuove tariffe, che manterranno l’aliquota del 50% su acciaio e alluminio. Ma il clima, nelle ultime ore, è apparso tutt’altro che incoraggiante, con fonti diplomatiche che hanno definito i negoziati “estenuanti”.
Negoziati estenuanti
La dichiarazione congiunta con gli Stati Uniti sui dazi per dare seguito all’intesa di principio è sul tavolo di Washington, “la palla è nel loro campo” e “ci attendiamo che ci aiutino a fare passi avanti”, ha detto Gill. Se per il nuovo ordine esecutivo del tycoon sulle auto Ue, che porterà i dazi giù dal 27,5 al 15%, ci sarà da aspettare probabilmente ancora “qualche giorno”, il pressing per ottenere esenzioni resta alto.
Gli unici capitoli che sembrano già blindati riguardano aerei e componentistica, una selezione di farmaci generici e i macchinari ad alta tecnologia come quelli per la produzione di microchip. “Abbiamo ottenuto un impegno per un tetto tariffario uniforme del 15% che si applica a tutti i prodotti, e si tratta dell’unico accordo con gli Stati Uniti che non impone tariffe aggiuntive rispetto alle tariffe della nazione più favorita. L’impegno” sancito dall’accordo del 27 luglio “vale anche per farmaci e chip”, ha spiegato Gill.
Ancora tutte da negoziare le deroghe per agroalimentare, settore vinicolo e liquori
Ancora tutte da negoziare invece le deroghe per l’agroalimentare e il settore vinicolo e dei liquori, fiore all’occhiello dell’export europeo e italiano. Intanto la Bce denuncia un “significativo rallentamento della crescita economica nel secondo trimestre” per l’eurozona e “una moderazione dello slancio nel breve periodo, in un contesto di elevata incertezza”. Secondo Francoforte “indagini recenti rilevano un’espansione nel complesso modesta sia nel settore manifatturiero sia in quello dei servizi. Al tempo stesso, i maggiori dazi effettivi e attesi, il rafforzamento dell’euro e la persistente incertezza geopolitica riducono la propensione delle imprese a investire”.