Ma quale parità di genere. Le donne più giovani sono svantaggiate in tutto. In una ricerca le ragioni di ogni 8 marzo. Lavoro e diritti: pochi i passi avanti

In una ricerca le ragioni di ogni 8 marzo. Lavoro e diritti: pochi i passi avanti.

Ma quale parità di genere. Le donne più giovani sono svantaggiate in tutto. In una ricerca le ragioni di ogni 8 marzo. Lavoro e diritti: pochi i passi avanti

Una giovane donna, oggi, in Italia, non ha ancora gli strumenti per emanciparsi pienamente. Dal lavoro, allo studio, al rapporto con gli altri. A dirlo è la presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, sulla base di uno studio presentato ieri.

In una ricerca le ragioni di ogni 8 marzo. Lavoro e diritti: pochi i passi avanti

“Dobbiamo certamente partire – ha spiegato – dalla definizione di un contesto generale: nonostante questa sia la generazione più preparata di sempre, le giovani donne vivono un disagio maggiore dei giovani uomini, collegato alle prospettive del futuro. Le giovani donne continuano ad affrontare infatti enormi ostacoli e discriminazioni già prima di accedere al mondo del lavoro. Tra le varie offerte di lavoro l’unica ad essere declinata esclusivamente al femminile è ancora oggi quella per “segretaria”. Questo elemento è soltanto la punta, indicativa, dell’iceberg di differenze che sono impattanti sui trattamenti tra uomini e donne nel nostro Paese. Negli ultimi dieci anni – ha aggiunto Pisani – la differenza salariale tra ragazzi e ragazze è addirittura cresciuta. In termini di scorrettezze le situazioni di criticità risultano più diffuse tra le giovani donne lavoratrici. Le vessazioni da loro subite hanno infatti una frequenza oltre tre volte superiore rispetto ai propri coetanei uomini. Le differenze non sono evidenti soltanto nel trattamento economico, ma anche nel trattamento umano. È la ragione per cui occorre affiancare a un cambiamento culturale della nostra società, politiche che offrano realmente delle pari opportunità tra generi per superare oggettive disparità economiche e sociali, per trasmettere modelli paritari, per superare barriere e favorire un ammodernamento del nostro Paese, necessario per tutte e per tutti che passa inevitabilmente attraverso la creazione di pari opportunità tra generi”.

“Uno degli aspetti più sottili ma pervasivi della discriminazione di genere risiede nel linguaggio usato negli annunci di lavoro. Spesso il titolo o il testo dell’annuncio sembrano infatti indicare nella maggior parte dei casi una preferenza di genere, declinando soltanto al maschile la mansione ricercata, laddove questa non sia già impersonale. Accade con termini come ‘addetto’, ‘operatore’, ‘tecnico’ e ‘venditore’ che troppo spesso vengono declinati soltanto al maschile, mentre l’unico caso in cui la professione presenta una declinazione esclusivamente femminile, confermando una visione tradizionale e stantia del lavoro è quello della ‘segretaria’. Nel recente rapporto realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani con EU.R.E.S. su “Nuove professioni e nuove marginalità” – ha proseguito Pisani – abbiamo analizzato numerosi annunci, constatando che la semantica utilizzata porta spesso a una preferenza di genere, maschilizzando le professioni e perpetuando stereotipi obsoleti”.

Sempre secondo lo stesso studio, le giovani lavoratrici affrontano sfide significative retribuzioni inferiori a quelle pattuite (9,1% contro 6,7% dei maschi), il mancato pagamento del lavoro svolto (9,1% contro il 5,7%), una tipologia contrattuale non corrispondente a quella pattuita (7,4% contro il 3,8%) e, con una frequenza di oltre tre volte superiore ai propri coetanei uomini, molestie e vessazioni sul lavoro (6,6% contro l’1,9%). Queste situazioni di criticità – ha proseguito la Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani – sono più frequenti tra le donne, evidenziando una cultura lavorativa che richiede un cambiamento radicale. Dobbiamo lavorare insieme per creare ambienti di lavoro equi e sicuri per tutti”. “Ma il divario salariale di genere rimane una delle questioni più pressanti, con giovani lavoratrici che guadagnano significativamente meno dei loro coetanei maschi. Questa disparità non solo mina il principio di equità ma impedisce una piena emancipazione economica delle donne. I dati sulla retribuzione dimostrano che la strada verso la parità di genere è ancora troppo lunga”, aggiunge Pisani.

Secondo i dati che il Consiglio Nazionale dei Giovani ha elaborato con EU.R.E.S., nel 2022 la retribuzione lorda media annua dei giovani (15-34 anni) lavoratori dipendenti del settore privato (che assorbe l’88,5% dei giovani occupati, a fronte dell’11,5% del settore pubblico), ammonta a 15.616 euro, pari al 68,4% della retribuzione media del totale dei lavoratori del settore (22.839 euro), con un differenziale di 7 mila euro. Il valore della retribuzione media scende ad appena 9.546 euro per la fascia “15-24 anni”, per attestarsi a 18.442 euro in quella “25-34 anni”. All’interno di un quadro già complessivamente negativo, la prospettiva di genere acuisce le criticità sopra osservate: a fronte di una retribuzione media di 17.436 euro per la componete maschile (15-34 anni), quella femminile scende a 13.233 euro annui, con un differenziale di oltre 4 mila euro, peraltro in crescita di 188 euro rispetto al 2018, in netta controtendenza rispetto ad una prospettiva di parità.

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Approfondendo l’analisi della retribuzione media attraverso i dati disaggregati per classi di importo, si osserva come il 45,7% delle giovani (15-34 anni) dipendenti del settore privato percepisca una retribuzione inferiore a 10 mila euro (il 28,1% “fino a 5 mila euro” e il 17,6% “tra 5 e <10 mila euro”), a fronte di un più contenuto 33,2% per i loro coetanei maschi. Sul fronte opposto i giovani maschi con una retribuzione annua superiore a 30 mila euro rappresentano il 13% del totale, contro appena il 6,6% delle loro coetanee; analogamente risultano più numerosi i lavoratori dipendenti maschi con una retribuzione media annua compresa tra 20.000 e 29.999 euro, con una incidenza pari al 28,1% del totale, con uno scarto di dieci punti sulla componente femminile (dove scende al 18,4%).

L’analisi delle proiezioni pensionistiche, calibrata sui giovani di 35 anni e tenendo conto delle tre gestioni “private” (Dipendenti, Artigiani e Gestione separata che insieme assorbono il 92,8% dei giovani nel mercato del lavoro), rivela scenari che non possono essere ignorati. Le stime, contenute nel Rapporto “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani” elaborato dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme ad EU.R.E.S., indicano che, pur con una partenza media nel mercato del lavoro a 20,8 anni e considerando un periodo di discontinuità lavorativa di 15 anni, i giovani di oggi, nel 2050, si troveranno a fronteggiare un’età di pensionamento che si aggira attorno ai 73,6 anni. A quell’età, l’importo della pensione previsto ammonta in media a 1.561 euro lordi al mese.